La figura
Federico Caffé amava spesso soffermarsi sulle vicende dell’accademia italiana e narrare i tanti
episodi che costellavano il mondo dell’economia, quelli che avevano protagonisti Nitti e Pantaloni, o
le vicende accademiche di Ricci, e, per i tempi più recenti, quelle di Napoleoni, ecc. Quando la sua
ricostruzione del panorama toccava il periodo successivo alla guerra Caffé aveva come una
folgorazione: “..E poi venne improvvisa l’esplosione di Sylos…”.
Deve essere sostanzialmente stata tale l’apparizione di Sylos sulla scena accademica. Non era
neppure giovanissimo (36 anni) quando il suo “Oligopolio e progresso tecnico”, trasformava i canoni
di riferimento di una branca dell’economia. Ma, in più, egli aveva rapidamente guadagnato la scena
pubblica con la sua verve, con la sua capacità di incidere nella cultura del tempo, con la capacità di
suscitare discussione e trattare gli argomenti più sofisticati in modo da risultare intelligibili a vari
livelli.
Quel posto di protagonista nell’accademia e fuori Paolo Sylos Labini lo ha tenuto fino alla fine. à‰
morto il 7 dicembre del 2005. Aveva appena compiuto 85 anni.
La sua importanza negli studi economici di questo paese é difficile da sopravvalutare. A lui si
deve, col concorso di pochi coetanei, il rinnovamento degli studi di economia in Italia e la
congiunzione del pensiero economico italiano con le correnti più avanzate del pensiero internazionale.
Eppure Sylos non era interessato al proselitismo, anche se in tanti finivano per richiamarsi a lui.
Amava anche moderatamente l’insegnamento da dietro la cattedra, che lo costringeva a seguire binari
pedagogici preordinati; amava invece il seminario e la conferenza; gli risultava innaturale
sistematizzare idee altrui, non gradiva gli allievi che gli facessero da codazzo, anche intellettuale.
Amava produrre idee, ragionare sui fatti e sistemarli dentro uno schema concettualizzato che non
prescindesse da storia, situazioni, dalla vita e comportamenti di operatori differenziati, che prima di
essere operatori collettivi erano operatori individuali. Amava l’accademia nel suo complesso, dove ha
trascorso tutta la sua vita e da cui non ha mai pensato di allontanarsi, anche momentaneamente, per
occupare cariche pubbliche, per le quali il prestigio, il ruolo nella società e le sue doti personali
tendevano a farne ricorrentemente un naturale candidato. Non ha mai gradito neppure di presiedere la
Società Italiana degli Economisti (cui pure tanto ha contribuito). à‰ dall’Accademia che, come
studioso, persona di cultura e da ultimo, come Professore Emerito e Accademico dei Lincei, egli ha
condotto le battaglie civili in cui é stato impegnato.
2. La formazione e le tematiche
Sylos aveva studiato all’Università La Sapienza di Roma e si era laureato in Giurisprudenza con
tesi in economia (sull’innovazione tecnica e l’organizzazione del lavoro). Si considerava allievo di
Alberto Breglia, un economista scomparso prematuramente, a cui riconosceva un debito nella sua
formazione. Ma non si era laureato con lui e ne era stato solo assistente volontario. Breglia era un
economista difficilmente classificabile nel panorama dell’accademia italiana di allora imbevuta di
curve statiche marshalliane e teoria corporativa; un economista che – pur risentendo dell’isolamento
in cui erano vissuti gli accademici nostrani – aveva una sua modernità nell’incrociare forme di
mercato, distribuzione del reddito ed economia sociale. Sylos si formò da subito in un ambiente
internazionale, inaugurando (ma forse qualche suo coetaneo lo aveva già fatto) quella che diventerà
una consuetudine dei migliori economisti italiani di perfezionarsi all’estero dopo la laurea. Studiò ad
Harvard con una borsa di studio biennale e, con l’intervallo di qualche anno, a Cambridge (G.B).
A Harvard fu allievo di Schumpeter, che imprimerà una impronta importante nella visione
economica di Sylos (Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini la imprimeranno, invece, come figure di
intellettuali). In realtà é difficile dire oggi se Sylos abbia scelto Schumpeter in quanto lì lo portava per
elezione la visione dell’economia che andava costruendo, o se quella visione debba in origine molto a Schumpeter. Probabilmente l’uno e l’altro. Vi é da dire che Sylos aveva certamente letto i classici
(Marx e Smith soprattutto); e li aveva letti alla sua maniera, in modo laico, cercando non verità o
ideologie ma termini di riferimento per inquadrare le forze di fondo dell’economia.
Schumpeter era, per impostazione e metodologia, assimilabile agli economisti classici per il fuoco
che metteva sulle forze di fondo del capitalismo (progresso tecnico, potere/i di mercato, investimento, ecc), sul dinamismo di questo sistema produttivo e sulla sua inerente instabilità ciclica. Quelle spinte di fondo, essenzialmente accumulative, avvengono attraverso relazioni tra variabili reali, che difficilmente toccano la finanza, se non in via derivata. A Schumpeter era estranea la visione di
Keynes (la quale mal si inquadrava nel suo schema dinamico), al centro della quale vi erano i
comportamenti speculativi (come rapporto tra l’oggi e il futuro), i convincimenti convenzionali degli
operatori e le aspettative (che per Schumpeter rimarranno sempre ancorate a una base reale), nonché
la rilevanza di questi fattori sulla produzione e l’accumulazione. A volte la vulgata tende a concentrare la “rivoluzione keynesiana” nel “principio della domanda effettiva” (che altrettanto era un modo di vedere l’economia che a Schumpeter sembrava parziale e riduttivo), mentre la vera rivoluzione di Keynes era in uno spostamento di ottica nell’analisi del meccanismo di funzionamento di una economia capitalistica, al centro della quale veniva posta Wall Street o la City (o l’equivalente nei sistemi nazionali) e l’intero meccanismo finanziario. A giudicare oggi dall’evoluzione che ha preso il pensiero dominante in economia politica, é un vero peccato che queste due visioni non si siano capite e integrate (se non parzialissimamente in Minsky, anch’egli allievo di Schumpeter al tempo di Sylos, così come allievo a quel tempo era Sweezy). Oggi le strade “ufficiali” sono addirittura divaricanti, con la teoria keynesiana ridotta a visione statica sussunta nell’equilibrio generale e la teoria dell’accumulazione a teoria del sovrappiù che (pur negli indubbi meriti che ha avuto nella critica all’economia politica corrente) rischia anch’essa di rimanere una costruzione fondamentalmente statica.
Sylos non sarà mai un antikeynesiano, ma l’ombra della diffidenza di Schumpeter entrerà sempre
nella sua lettura di Keynes. Né certamente il suo soggiorno a Cambridge, dove avrà come supervisore
Robertson – un antagonista scientifico di Keynes – risulterà in questa direzione un passaggio
chiarificatore e lo indurrà a incorporare pienamente Keynes nella sua visione. Ma Sylos é l’autore che
ha sfiorato tale sintesi. La lettura che nel tempo risulterà sempre più dominante sarà, tuttavia, quella di
Smith, a cui tenderà a ricondurre tutti i fili del suo pensiero.
Il suo interesse dominante rimarrà l’economia che si muove generando progresso tecnico e
migliorando la produttività, un processo (tutt’altro che lineare) con legami di causa effetto sulla
distribuzione del reddito e sulle sollecitazioni che ne ricadono su tutte le variabili del processo
economico. à‰ in un certo senso singolare, sebbene sia lo studioso che ha cambiato il modo di studiare
le forme di mercato, che l’interesse speculativo e teorico non sia stato strettamente in quel campo, ma
che egli si sia solo servito degli esiti dei comportamenti di mercato (dei mercati) come tasselli da
inserire (bestemmio se dico “strumentalmente”?) nell’individuazione delle forze di movimento e di
distribuzione del reddito, in un contesto più ampio di messa a fuoco delle spinte e controspinte
dell’economia. Sulle forme di mercato tornerà infatti, dopo il 1956, solo all’interno di tematiche
riflesse nel titolo dei suoi libri:, Sindacati, inflazione e produttività, 1972, Le forze dello sviluppo e del
declino, 1984, Nuove tecnologie e disoccupazione, 1989, Progresso tecnico e sviluppo ciclico, 1993
(tutti tradotti in inglese), a cui si affiancano tanti altri scritti su temi similari.
3. Oligopolio e progresso tecnico
Tuttavia, se “..poi venne improvvisa l’esplosione di Sylos..”, il detonatore é essenzialmente
“Oligopolio e progresso tecnico”, pubblicato la prima volta nel 1956 e poi rivisto in occasione delle
ripubblicazioni e delle traduzioni che ha avuto nelle più svariate lingue (la prima in inglese nel 1962
con la Harvard University Press).
Non ho mai capito da dove lo spunto a lavorare in questa direzione gli sia venuto. Non é un tema
schupeteriano in senso proprio, ne é di derivazione diretta dalle sue letture dei classici; é un tema,
come detto, solo di appoggio a quelli cui Sylos si mostrerà interessato tutta la vita. à‰ vero che aveva in
quegli anni lavorato ad un rapporto sul mercato del petrolio e osservato il ruolo dei costi fissi, ma
l’oligopolio che egli tratta é pressoché specifico dei mercati manifatturieri. Ho trovato anni dopo cenni
furtivi sull’argomento in un libro di Breglia, ma poiché il libro era la messa a punto delle lezioni
fattane da Sylos oltre dieci anni dopo la morte, a scopo di adozione per la didattica, é fondato il
sospetto che Sylos abbia semplicemente accennato all’argomento trasponendo le proprie idee.
Quale che sia la genesi, “Oligopolio e progresso tecnico” é una sorta di teoria generale delle forme
di mercato. In sé, i mercati, specie quelli manifatturieri, non sono né pienamente monopolistici, né
pienamente competitivi. Il grado di competizione dipende dalle barriere all’entrata stabilite dalle
indivisibilità tecnologiche, le quali chiedono che almeno un certo break even di produzione sia
raggiunto per rendere gli impianti competitivi e l’investimento remunerativo; dipende dall’ampiezza
del mercato in relazione al break even richiesto dalla tecnologia più efficiente; dipende dalla elasticità
della domanda; dipende da quale discontinuità presentino le tecnologie stesse per passare da quelle più
efficienti a quelle meno efficienti. Per quanto questi elementi possano portare il prezzo a fissarsi
stabilmente sopra ai costi unitari (marginali e medi) un elemento di competizione esiste sempre tra
potenziali entranti in un mercato e coloro che vi sono già insediati. Ma chi é attratto da quel mercato
deve scontare sia le dimensioni necessarie a rendere la sua produzione profittevole sia la riduzione di
prezzo necessaria ad assorbire la sua offerta, per cui la profittabilità esistente non é quella che vi sarà a
ingresso avvenuto. Impianti più piccoli (e presumibilmente meno efficienti) producono minore
sacrificio di prezzo, ma avranno per converso costi unitari di break even più alti. Una stabilità di
prezzo e di composizione del mercato é quindi possibile anche in condizioni di rendimenti decrescenti.
Imprese grandi e piccole possono convivere. Un prezzo superiore ai costi marginali può divenire un
prezzo di equilibrio (qui inteso come stabile), pur in condizioni di competizione (potenziale). Tutte
eresie, secondo l’ortodossia dell’epoca, ma che diverranno acquisizione della teoria dopo Sylos.
La stella polare dell’equilibrio oligopolistico può mantenere i prezzi stabili, se non mutano le
condizioni sottostanti, pur in presenza di potere di mercato. Il prezzo é di solito amministrato, ma lo é
secondo comportamenti di prudenza imposti dalla concorrenza potenziale. Ma, anche se le condizioni
mutassero, occorre distinguere tra i mutamenti continui che sempre avvengono (miglioramento della
produttività, aumento dei salari monetari, ecc) e un cambio di regime (salto tecnologico, entrata di un
concorrente “forte”, ecc.). I primi richiedono solo adeguamenti, per i quali serve da orientamento il
margine di prezzo sopra i costi che si é stabilito in condizioni di equilibrio e che tende a essere
mantenuto dall’impresa leader o dalle imprese leader. I secondi sono più complessi e producono una
varietà di esiti. à‰ difficile dare in poche battute la ricchezza di argomenti del libro. Sylos esplora sia la
condizione in cui i prodotti siano omogenei sia le differenziazioni prodotte dal marketing e – diremmo
oggi – dal marchio, alle quali é da ascrivere il ruolo di barriera che nel primo caso giocano le
discontinuità tecnologiche e le indivisibilità. Esplora anche singolarmente la natura di quei mutamenti
di regime a cui facevo cenno prima e le conseguenze dinamiche che si producono nel lungo periodo
negli esiti del mercato.
Dopo “Oligopolio e progresso tecnico”, una serie di fatti che aleggiavano in modo un pò esoterico
nella letteratura e nell’osservazione, hanno trovato come per incanto la loro spiegazione e il loro
fondamento concettuale. Così il costo pieno, un comportamento riscontrato empiricamente che mal si
conciliava con le teorie microeconomiche dominanti. Così la domanda ad angolo, che acquistava un
dignità nell’ambito della stabilità oligopolistica. Senza il lavoro di Sylos, non vi sarebbe stata la teoria
dei mercati contendibili. L’interpretazione alla Sylos del comportamento dei mercati oligopolistici
finiva per essere la base che dava chiarezza a svariati fenomeni; ad esempio, l’andamento sfavorevole
delle ragioni di scambio per i produttori di materie prime, che trovava spiegazione nella
settorializzazione dei benefici del progresso tecnico quando a introdurlo sono i settori manifatturieri,
dove, a causa della prevalenza di forme oligopolistiche tende a vigere una vischiosità dei prezzi e una
certa inelasticità di risposta alle condizioni di domanda, al contrario di ciò che avviene nei settori
concorrenziali. O come, altro esempio, l’incomprimibilità strutturale di una componente di inflazione,
generata dalla diversa dinamica della produttività settoriale e che opera come fluidificatore del
continuo aggiustamento settoriale nell’economia.
4. Il magistero
Di Sylos mi piace ricordare il suo essere economista vero, con una capacità istintiva, direi innata,
di ingerire fatti e teoria contemporaneamente, impastando gli uni e l’altra senza soluzione di continuità
per dar luogo ad affreschi che aprivano un’ottica inesplorata nel campo trattato. Oggi ciò che viene
chiesto a un economista é di proiettare nella teoria l’ombra di una opzione di comodo (se non
ideologica) riflessa nelle ipotesi di partenza e trarre dai risultati idealizzati (in senso weberiano) della
teoria un criterio per dedurre un giudizio normativo sui fatti correnti. L’ingrediente é la matematica
“per costruire il modello” e l’econometria per “testarlo” (brutto termine entrato nell’uso che da solo
indica una soggezione culturale). Sylos era l’esatto contrario: aveva urgenza di inquadrare i temi di
rilevanza centrale per l’economia nella loro dimensione reale e nelle loro sfaccettature. Scavava nei
fatti, nella teoria nelle sequenze causali. Sapeva che l’armamentario dell’economista é sterile senza
una presa nelle scienze sociali, nella storia; senza una cultura giuridica; senza la dovuta attenzione alle
istituzioni e alle loro evoluzioni. Questo non gli impediva di giungere alla semplificazione (o
all’astrazione) che gli consentiva di isolare il punto, ma cio’ non doveva offuscare nessuna di quelle
dimensioni. Apprezzava l’impiego di matematica e statistica se di ausilio a questo armamentario e a
questo approccio metodologico, ma non se strumento per esercizi di astrazione fini a sé stessi e per
conclusioni artificiali.
“Oligopolio e progresso tecnico” non deve trarre in inganno; Sylos é stato essenzialmente un
macroeconomista, che ha presente il quadro microeconomico sottostante. Non si tratta delle moderne
“microfondazioni”; é qualcosa di più. Ho detto che il suo interesse si é indirizzato alle modalità in cui
le interconnessione tra le variabili e tra decisioni dei singoli attori generano la dinamica dell’economia
(soprattutto della produzione e della produttività ), il ciclo la distribuzione del reddito. Dentro
l’interconnessione tra macrovariabili é possibile, però, cogliere in azione un pullulare di soggetti che
generano quotidianamente e singolarmente scambio, produzione, consumo o altro; il comporsi della
loro attività; la pluralità di motivazioni e impulsi che prendono forma a livello disaggregato; il
formicolare di reazioni diverse di soggetti tra i più disparati agli eventi di cui ciascuno é partecipe, ma
che vive come eventi esterni che lo condizionano. Attraverso la sua analisi trovano sistemazione e
spiegazione le informazioni più aneddotiche e i fatti più dispersi della vita sociale. L’operare della
politica e delle istituzioni é sempre presente; ogni processo ha poi ha una prospettiva storica in cui
viene inquadrato: i percorsi precedenti proiettano i loro condizionamenti sugli sviluppi successivi.
Non a caso egli vorrà fotografare questo caleidoscopio di attori nella posizione che questi
occupano nella società e nella scala sociale (con una incursione in campo apparentemente extra
economico) nel libro Saggio sulle classi sociali (1974). A parte la voluta cesura culturale che il saggio
rappresenta rispetto a alcuni luoghi comuni agitati soprattutto nel versante politico della sinistra, di cui
parlerò più avanti, nel libro si può cogliere una lettura dei modi in cui le coalizioni si formano nella
società (fra l’altro, variabili per singole questioni) e delle condizioni che portano il potere decisionale
a essere permeabile alle istanze di quella la cui forza finisce per essere dominante nel ”tiro alla fune”
(é una sua espressione).
Sylos é scienziato sociale in senso pieno e, infatti farà nel corso del tempo, non solo con
l’insegnamento metodologico dei suoi scritti e del suo approccio istituzionalista, ma anche con
manifesti, le sue battaglie per riaffermare un’idea dell’economia come scienza sociale e combattere gli
indirizzi metodologici dominanti che tendono a farne una scienza assiomatica e asettica, o una sorta di
ramo dell’ingegneria. Non riuscirà mai capire l’utilità di un indirizzo che ricerchi la posizione statica
di equilibrio economico generale di tutti i mercati (in condizioni peculiarissime di concorrenza
perfetta, piena flessibilità, massimizzazione dell’utilità e perfetta conoscenza e informazione) o che la
presupponga. Ne riuscirà a accettare le quantità di forzature necessarie per utilizzare la curva a U o la
funzione aggregata di produzione (che metterà severamente in discussione non sulla base di una
ripetizione delle critiche di teoria del valore, ma di una rielaborazione basata sui suoi interessi,
oligopolio e tecnologie, nonché sul merito degli argomenti statistici).
5. Il modello dell’economia italiana e l’approccio quantitativo
Devo dire che io ho trovato non assonante con la sua impostazione metodologica
l’atteggiamento che ha avuto verso l’econometria, che é stato di sostanziale accoglimento. Certo una
persona con la sua libertà di pensiero non avrebbe mai posto un’ipotesi interpretativa al servizio degli
esiti di una prova econometrica, ma viceversa. Mi immagino le volte in cui la serie sia stata cambiata
o la stima rifatta se i risultati fossero stati in contrasto con la sua percezione della realtà (ma non ho
testimonianze in proposito). Tuttavia, a volte ha dato la sensazione di credere in coefficienti o in gap
temporali di risposta espressi dalle sue stime come se quei coefficienti non esprimessero poi regolarità
di rapporto nel tempo tra due o più variabili. Regolarità non riferite semplicemente a relazioni logiche
nella catena causale, ma quantitativamente identificabili. Sicuramente talvolta quei coefficienti hanno
costituito più che una variabile di controllo. Nella famosa polemica tra Keynes e Timbergen degli anni
’40 temo che avrebbe dato più ragione a quest’ultimo. Eppure egli apriva ogni anno le sue lezioni
mettendo in guardia gli studenti contro le “leggi” dell’economia e citando un episodio di vita
personale degli anni ’50 quando gli era capitato di qualificarsi come economista presso un
responsabile dei pompieri (non ricordo di quale città, Lecce?). L’interlocutore ad un certo punto come
captatio benevolentiae, aveva esclamato: “Eh…le leggi dell’economia! Che tempi!…nessuno le
rispetta più!” E ogni volta si divertiva a rilevare che forse le “leggi” dell’economia, se nessuno le
rispetta, non esistono.
Sylos aveva affinato gli strumenti in questo campo costruendo forse il primo modello
dell’economia italiana a metà degli anni ’60 (poi pubblicato nel 1967). Si toglierebbe qualcosa a
quell’impresa se non fosse messa nel contesto dell’epoca, che ne faceva un’impresa eroica e
artigianale per un singolo studioso. Le tecniche econometriche erano meno sviluppate e sofisticate di
quelle odierne. Certamente non esistevano software econometrici, ma neppure banche dati già pronte
da utilizzare all’occorrenza; occorreva costruirsele. Oggi un test econometrico o la sima di
un’equazione nella parte di lavoro bruto potrebbe essere affidato da uno studioso alla sua segretaria,
alla quale sia lasciato un appunto sulle serie da usare, il disco di programma da inserire nel lettore del
computer e la sequenza di tasti da pigiare; allora richiedeva una organizzazione complessa e in un
certo senso audace. Sylos aveva una urgenza di porre in forma nitida e didatticamente fruibile (non
solo agli studenti, ma anche agli studiosi) tutte le relazioni causa-effetto e le interconnessioni che
aveva individuato per l’economia italiana (distinta per settori e forme di mercato prevalenti). Voleva
mostrare come spinte e controspinte finissero per prevalere prima l’una e poi l’altra con spirali che a
un certo punto si spezzavano per azione di fenomeni collaterali che esse stesse generavano.
Per questa operazione “pedagogica” aveva bisogno di parametri quantitativi tratti
dall’interpolazione di serie storiche prolungate, le quali ultime erano talvolta esse stesse frutto di
costruzioni econometriche. L’operazione di porre su basi di riferimento solide la discussione
sull’economia italiana sicuramente riuscì e il dibattito di politica economia ruotò attorno alle sue idee
sul modo di funzionamento macroeconomico del Paese; e questo non sarebbe stato possibile senza la
forza comunicativa dei numeri. Tuttavia, mi sono sempre chiesto con quali trasposizioni teoriche egli
potesse sentirsi a suo agio con un’idea di meccanicismo economico che ciò emanava e di riduzione
dell’economia a un grande congegno idraulico, che era quanto di più estraneo vi fosse alla sua
percezione dell’economia.
Avrei voluto discutere questo con Sylos e alcune volte vi ho tentato, per quanto fosse possibile
discutere con lui. Era troppo esuberante; la sua mente viaggiava a 1000 all’ora e dopo poche battute
cominciava a esternare tutto ciò che nella mente gli si era messo in moto a partire dal piccolo input,
per ritornare sul fuoco varie volte e abbandonarlo altrettante, ma comunque lasciando poco spazio
all’interlocutore. (Sylos era affascinante anche per questo suo vagare di connessione in connessione,
ognuna delle quali era imprevedibile, ma apriva possibilità di insospettate di inquadramento degli
argomenti che toccava). Per polemizzare con lui, e trovare il modo di argomentare adeguatamente nel
merito, era però meglio scrivergli.
Selezionando nei suoi argomenti trovo, tuttavia, le sue risposte ai miei mugugni. In primo luogo,
c’é econometria e econometria e quella da scartare é solo quella che non parte dalla teoria e dalla
concettualizzazione e pretende di trovare risposte analitiche nei risultati quantitativi. In secondo luogo,
i processi sono storicamente condizionati e il loro inquadramento quantitativo può (e deve) mettere in
luce la relatività storica degli stessi, giustificarla e attenersi strettamente al periodo di validità delle
relazioni. (e semmai mostrare le differenze con periodi caratterizzati da contesti istituzionali diversi).
Gli ho sentito poi usare anche un terzo argomento in varie circostanze, che spero di riportare
correttamente. Vi sono fenomeni fisici che se analizzati da vicino mostrano il movimento caotico (e
comunque asistematico) delle particelle. Il gas che scorre lungo un tubo ha questa natura; ma quando
poi sgorga il flusso composto da quelle particelle ha una regolarità insospettabile.
Econometria o no, dove Sylos era insuperabile é nella lettura dei fatti e quindi anche nel modo di
interrogare e far parlare l’evidenza a statistica “elementare” – talvolta tratta da fonti inconsuete o
cercata in direzioni inconsuete dove il suo istinto gli consigliava di guardare. Talvolta ricostruita per
incroci, perché inesistente sulla base dell’uso che intendeva farne. Quell’evidenza diventava tutt’uno
con il suo legare fenomeni diversi, mostrare rotture e continuità, col suo procedere per indizi e per
tappe argomentative fino alla conclusione, dove tutto trovava l’incastro giusto. Mai un utilizzo
descrittivo ma sempre un modo per mettere in luce certe sequenze di ragionamento economico e
interpretativo, le congetture che sorgevano sulle connessioni tra fenomeni, oppure la peculiarità dei
processi in esame. Lì c’era l’estrinsecarsi – me lo si lasci dire – “dell’economista con l’istinto innato
dell’economista”.
6. Smith e Sraffa
Sylos era per natura portato a costruire l’economia più che a soffermarsi su problemi di critica al
pensiero altrui e all’economia dominante se non per quel tanto che gli servisse a marcare i riferimenti.
à‰ fuori dubbio che Smith fosse per lui una fonte di ispirazione e insegnamento ricorrente, anche se la
scoperta che le sue radici fossero prevalentemente in Smith é avvenuta relativamente tardi. Nel suo
libro Torniamo ai classici, 2005, l’ultimo scritto in una vena teorica, riprende e aggiorna tutti i suoi
cavalli di battaglia e ne mostra costantemente il filo con il pensiero dei classici, ma di Smith in primo
luogo.
L’influenza di Marx, letto con categorie schumpeteriane é più forte di quanto egli sia disposto ad
ammettere, ma di questa parlerò poi. Col tempo arriverà alla conclusione che le pure forze
economiche danno una visione parziale della realtà sociale e dei conflitti che la percorrono. Altre
forze sono parte rilevante di quella realtà e agiscono in piena autonomia. Negli ultimissimi anni, il
giudizio scientifico sarà sopraffatto da una vera antipatia per l’uomo Marx, capace di consigliare
doppiezza ai socialdemocratici tedeschi e di mettere incinta la cameriera.
Personalmente non saprei classificare, invece, i suoi rapporti con l’opera di Sraffa (intendo lo
Sraffa di Produzione di merci a mezzo di merci; non gli articoli degli anni ‘20). Aveva una sorta di
rispetto reverenziale e intellettuale per l’uomo e aveva incoraggiato i suoi allievi a studiarne l’opera e
a perfezionarsi a Cambridge. Quello tra gli allievi che gli sarà più vicino, Alessandro Roncaglia,
diventerà un eminente cultore della materia, riconosciuto su scala internazionale. Non ricordo, tuttavia
un solo punto in cui Sylos utilizzi effettivamente l’impostazione di Sraffa, salvo per ribadire che il
sovrappiù prodotto é la base dell’accumulazione e ha una distribuzione soggetta ai rapporti di forza e
altri fatti collaterali dell’economia.. Curerà – é vero – la raccolta di saggi (1973) che egli stesso aveva
incoraggiato i suoi allievi a produrre sull’argomento o su argomenti limitrofi, ma temo che fosse per
omaggio all’autore e all’importanza del suo lavoro di critica all’economia marginalistica più che per
vera passione diretta per l’argomento. E temo anche che il pensiero di Sraffa si trasfigurasse in Sylos
per ricomporsi nel pensiero sylosiano.
7. La politica economica
Il ritratto della personalità di Sylos sarebbe incompleta se l’accento si limitasse ai suoi contributi
analitici e alla sua impostazione teorica in economia. Egli é stato anche teorico del sottosviluppo,
partecipe del dibattito di politica economica, protagonista e punto di riferimento nel dibattito culturale.
In più ha profuso energie e impegno nella vita civile.
Entrare nei temi della politica economica é stata in parte una proiezione della sua attività
speculativa. Sylos aveva da giovane contribuito al piano del lavoro della Cgil e aveva condotto
un’inchiesta sul mercato del petrolio. Quando, al formarsi dei primi governi di centro sinistra, nel
1963, la programmazione diventa la parola d’ordine della politica economica egli partecipa a
entusiasmi e speranze suscitate dal nuovo corso e scrive con l’amico Giorgio Fuà il libro “Idee per la
programmazione”(1963), che, seguendo quel misto di macro e micro economia che caratterizza i due
autori, é di fatto uno studio sulle compatibilità macroeconomiche e sull’insieme degli interventi (oggi
diremmo “strutturali”) che gli autori giudicavano necessari per tenere elevata la crescita dell’Italia.
Egli farà parte del Comitato per la programmazione presso il Ministero del Bilancio (1965), ma si
dimetterà quando constaterà che come sottosegretario al Governo (presieduto da. Moro) é stato
nominato l’on Lima.
Sylos prenderà costantemente posizione su temi e eventi dell’economia italiana. Interverrà con un
saggio sul punto unico della scala mobile del 1977 (pronunciandosi a favore della sua abrogazione) e
sulla tassazione di titoli di Stato del 1989 sulla quale si dichiarerà contrario. Sara sempre a favore
della politica dei redditi, che sosterrà anche attraverso i suoi lavori analitici sulla distribuzione del
reddito, l’inflazione e la produttività. Metterà in luce che ci sono circostanze in cui il trade off tra
salari e occupazione non é convalidato. Curerà un manifesto promemoria sulle priorità nazionali
destinato al primo governo Prodi, nel quale é dominante l’attenzione alle politiche occupazionali (per
le quali chiede flessibilità e regolazione) e la preoccupazione per la sostenibilità degli schemi in essere
di previdenza pubblica. Le ragioni dei ritardi del Sud saranno sempre presenti nella sua analisi dei
problemi strutturali dell’economia. Egli, a ragione considerato un meridionalista, ha vissuto il tema
con la passione di chi si considerava figlio del Sud (anche se era nato a Roma, ma di famiglia
proveniente di Bitonto nella cui ascendenza diretta da parte di madre vi era lo zio Giustino Fortunato).
Manterrà sul tema un’analisi sempre orientata alle indicazioni di policy.
Il suo interesse per l’articolazione del paese e per i temi strutturali non poteva non rivolgersi ai
distretti industriali, forse l’ultima sua incursione nel campo della politica economica, in cui egli perora
il riconoscimento giuridico del distretto in quanto tale per procedere, attraverso questo, a semplificare
gli adempimenti amministrativi, porre su base diverse l’imposizione fiscale, puntare alla gestione
consortile dei servizi e dar luogo, con l’aiuto pubblico, a investimenti collettivi in ricerca. Forse i
distretti non erano più gli stessi da quando Sylos, anni addietro, aveva cominciato a rivolgere la sua
riflessione all’argomento, essendo diminuita l’importanza dei fattori territoriali o monosettoriali, ed
essendo ormai le reti sempre più riferibili a forme flessibili di sistemi d’impresa, piattaforme
produttive, raggruppamenti per filiera e rapporti contrattuali inediti di svariata natura; per di più reti
inserite in sistemi produttivi globali. Tuttavia, le sue proposte, avanzate con un gruppo di lavoro che
Sylos avevano animato, conservavano carica innovativa, e trovavano eco nell’ultima finanziaria
approvata dal governo di centro destra (sebbene, Sylos disconoscesse in due articoli sul Il Sole 24 Ore
(2005), ultimi tra i suoi interventi di politica economica, l’aderenza a quelle proposte).
8. La presenza nel dibattito culturale
Sylos é anche un pezzo della cultura italiana del dopoguerra. Non é solo un economista, né solo
uno scienziato sociale, ma anche persona presente nel dibattito culturale, un intellettuale a tutto tondo.
Dall’alto del suo prestigio e dirittura morale, sarà anche coscienza critica del paese. “Presente nel
dibattito culturale” é riduttivo perché alcuni suoi interventi sono stati una sferzata che hanno sfidato e
modificato i convincimenti culturali della sinistra del suo tempo.
Il clima del dopoguerra era di forte contrapposizione ideologica tra due “chiese” politiche e
culturali. Sylos apparteneva alla sinistra, ma con una visione riformista, convinto dell’insostituibilità
del capitalismo e imbevuto di una impostazione positivistica, allora inconsueta in quello schieramento
politico che guardava in prevalenza “oltre” il capitalismo e era imbevuto di cultura idealistica. Marx
era sicuramente un autore di ispirazione e di riferimento per Sylos. Ma un Marx molto diverso da
quello fatto proprio dai marxisti di allora (e marxista era l’intero Partito Comunista): Non vi erano
verità da cogliere e affermare dall’opera di questo autore. In più, a Sylos era estraneo l’aspetto
filosofico (alienazione e quant’altro), reinterpretava la lotta di classe come fisiologico conflitto
sociale; alla teoria del valore era scarsamente interessato. Marx era per Sylos uno scienziato sociale, le
cui analisi del capitalismo e delle leggi di movimento davano sicuramente una chiave di lettura e di
inquadramento dei processi di lungo periodo dell’economia e della stratificazione sociale che li
accompagnava, ma in molti punti andavano corrette, relativizzate storicamente, integrate con visioni
più moderne tratte dal senno di poi.
I saggi raccolti poi nel suo libro “Economie capitalistiche e pianificate”, (1960), furono una scossa
per la cultura di sinistra dell’epoca (e potrebbero far riferire anche al campo culturale quella frase di
Caffé: “.. e poi venne l’esplosione di Sylos”). Si poteva essere in un certo senso ammiratori di Marx
senza essere marxisti politici e mantenendo una freddezza (e freschezza) analitica utile a inquadrare
vari aspetti delle relazioni economiche contemporanee. Per tanti giovani della mia generazione quel
libro fu una rivelazione illuminate che avrebbe segnato il corso della loro storia culturale.
Lo stesso “Oligopolio e progresso tecnico”, letto in chiave politico-culturale fu una sconfessione
di quelle analisi (dominanti a sinistra) condotte in termini di “grandi monopoli” e dell’ombra
stagnazionistica e regressiva che essi proiettavano nell’economia.
La stessa miccia fu accesa anni dopo col saggio citato sulle classi sociali (1974), in piena ripresa di
ideologismo nel nome della classe operaia, vissuta come classe generale interprete dei destini della
società. Sylos, dati alla mano, mostrò quanto si fosse lontani da una evoluzione verso una crescente
proletarizzazione, la quale non solo non aveva basi nel numero di coloro che vivevano una
“condizione operaia” o vi potevano essere assimilati, ma neppure nell’”immiserimento” di tale classe.
La società, invece, – tutt’altro che dicotomica – diventava sempre più connotata da un corpo
maggioritario e variegato di “ceto medio”, con ciò che questa evoluzione portava con sé in termini di
orientamenti politici e culturali, nonché di dinamiche sociali. All’interno di quel ventaglio
rappresentato dal ceto medio, sezioni differenziate di piccola borghesia finivano poi per inserirsi in
modo parassitario in tutti i gangli della macchina amministrativa e della vita sociale e erano in grado
di piegare a proprio vantaggio – utilizzando i meccanismi della democrazia rappresentativa e della
mediazione sociale – conquiste civili e economiche cui non avevano contribuito. Ritornerà sul tema e
lo aggiornerà in Le classi sociali negli anni ’80 (1987)
9. L’impegno civile
Preso dalla molteplicità dei suoi impegni culturali, scientifici e di scrittura, non ho mai capito
dove Sylos trovasse il tempo per portare a fondo, senza mollare la presa, le sue battaglie civili, così
dispendiose di energie e di emozioni. Eppure, non sembrava una persona inseguita dall’ossessione del
tempo. Poteva ricevere un allievo giovane tenendolo ore, ignorando che si avvicinava e si andava oltre
l’ora della cena, che i figli e la moglie (la straordinaria signora Marinella, il suo vero punto di forza)
attendevano e che cresceva l’imbarazzo nello spaurito interlocutore (tra gli anni ’60 e ’70 tremavo
quando l’ora dell’appuntamento era intorno alle 18-19, sapendo che non sarei andato via prima delle
22). Era poi sempre disponibile; accettava di buon grado un invito a cena (sempre dopo essersi
accertato di non trovarsi in compagnia di persone che non stimava), e non era difficile incontrarlo in
casa di amici. Eppure la sua giornata era segnata anche da altro, oltre che dalla riflessione, lo studio, la
scrittura o la lettura, e, ovviamente, famiglia. Sylos sentiva dentro di sé la missione di denunciare il
malaffare dove aveva sentore che si annidasse, l’acquiescenza verso ciò che non andava, il
patteggiamento, la rinuncia alla difesa dei principi.
Il suo impegno nell’Università non é stato solo la creazione del Dipartimento di Economia
Politica, l’insegnamento, il magistero e l’impegno per tenere limpidi e in ambito meritocratico i
concorsi a cattedra (significativa era la pretesa che i suoi allievi si facessero strada da soli).
L’Università della Calabria e quella di Tor Vergata devono a lui la loro fondazione, in quanto membro
del Comitato Tecnico Ordinatore. Di solito non vi é gran merito a farne parte, quando tutto va secondo
i canoni previsti e il Comitato si scioglie avendo esaurito i suoi compiti. Ma in entrambi i casi egli si
imbatté in una resistenza locale, fatta di delegittimazione e intimidazione; in coalizioni di piccoli
proprietari i cui suoli rischiavano di essere espropriati, sostenuti da personaggi eminenti per fini non
nobili; in tentativi di condizionamento e denuncie fittizie (ma infamanti) a scopo dilatorio e di
pressione, perfino in tentativi di corruzione. Nel sottofondo: la speculazione immobiliare. Solo la sua
tempra e la grinta potevano consentirgli di non mollare tutto e tornare al tranquillo tran tran di
professore. Diceva che aveva compreso attraverso queste vicende cosa vuol dire “sistema”, quegli
intrecci perversi che possono stabilirsi tra interessi dispersi, potere locale, sistema amministrativo,
media, acquiescenza di soggetti terzi, che gli avevano reso, ad esempio, difficile in Calabria perfino
trovare un avvocato disposto a difenderlo; trovandolo poi in un avvocato missino (e quindi fuori dal
“sistema”). Per Sylos le persone per bene non avevano colore politico.
Considerava un dovere adoperarsi negli stessi anni per consentire a colleghi dell’Est di avere
permessi per venire in occidente, tempestando le loro ambasciate e procurando loro fondi.
Spese molto tempo negli anni ’70 e ’80 a ricostruire le trame oscure che si svilupparono nell’epoca
dei servizi segreti deviati, massonerie, organi dello Stato coinvolti, P2. Era diventato un vero esperto
di quegli anni; ogni tanto qualche informazione tratta dalle fonti più disparate arricchiva il suo dossier.
Inseguiva suoi sospetti (tutt’altro che infondati) e teneva una nutrita documentazione su un preminente
personaggio politico del tempo, tutt’ora vivente.
D’altra parte egli era anche un esperto di mafia – che non ricordo bene se avesse connessione con
queste sue ricostruzioni – al cui studio si era dedicato durante il periodo in cui, appena cattedratico,
aveva insegnato a Catania.
Le tante battaglie civili in cui é stato coinvolto avevano sempre un bersaglio, oltre il malaffare:
l’acquiescenza, l’arte italica del compromesso, il tirare a campare, il voltarsi dall’altra parte. Per tutti
si veda il suo libro-intervista: Un paese a civiltà limitata, 2001. Quasi sempre la sua é stata una
posizione di resistenza civile. Negli ultimi anni é riuscito a trasformare la sua indignazione verso il
degrado della vita istituzionale e pubblica e l’abbassamento delle difese morali in una campagna
nazionale. Era coinvolto in primo luogo come cittadino; ma era coinvolto anche come economista
dello sviluppo che sa che la competitività di un paese ha come precondizione un buon vivere civile. E
che l’etica da cui sono pervase o meno le istituzioni é fondamentale per il progresso economico.
Egli era stato da sempre convinto che l’avvento del fascismo fosse stato agevolato
dall’assuefazione della pubblica opinione alla corrosione della convivenza civile, con la complicità dei
tanti che non ne avevano voluto comprendere la gravità, avevano avuto atteggiamenti, magari avversi
nell’intimo, ma di tepore civico verso quanto si andava logorando quotidianamente nel tessuto civile e
culturale, anche a protezione della propria tranquillità personale.
Gli ultimi cinque anni li ha vissuti da combattente all’insegna di questo convincimento. Si é speso
con un fervore morale salveminiano con interviste, articoli, appelli, libri (Berlusconi e gli anticorpi.
Diario di un cittadino indignato, 2003), interventi recitati in tutte le sedi consentite per tener desta
l’indignazione morale. à‰ stato radicalmente intransigente e sferzante. In questo suo impeto ma ha
finito, tuttavia, per essere sospettoso anche verso coloro che percorressero strade di opposizione al
governo di centro destra meno irriducibili e più politiche della sua. E, parallelamente, é stato poco
disposto a esaminare le ragioni di chi riteneva che fosse stato giusto il tentativo del 1996-8 di
rifondare le regole e le istituzioni in modo condiviso, avvenuto attraverso la Bicamerale Istituzionale;
tentativo che egli non riusciva a leggere altro che sotto il profilo della compromissione e dello
scambio con chi non avrebbe dovuto essere legittimato. Fu toccato profondamente dal fatto che due
suoi allevi, Michele Salvati e il sottoscritto, che sentiva tra i più vicini alla sua lezione metodologica,
allora fossero in Parlamento e non condividessero il suo giudizio.
La sua posizione ha avuto un eco straordinaria e sferzante nel Paese a riprova di quanto forte
fosse il suo ascendente, il suo prestigio e la trasmissione di forza morale verso settori di pubblica
opinione, che avevano ormai travalicavano l’ambito intellettuale. Sylos non avrebbe mai accettato la
compagnia di chi non fosse specchiato, irreprensibile e genuino ma forse qualche applauso gli é
venuto anche da settori e movimenti che certo condividevano la sua intransigenza, ma che poco
culturalmente avrebbero potuto condividere con lui in circostanze diverse; egli riformista nell’animo e
nel pensiero; altri attraversati da correnti di minoritarismo e di estraneità a una cultura di governo. Due
intransigenze diverse.
11. Ci mancherà
Ricordare Sylos solo come economista sarebbe stata una tale riduzione della sua personalità, da
risultare impossibile a chiunque. Personalità ingombrante e straripante, che riempiva la scena
nell’accademia, come nella cultura e nella vita pubblica, Sylos mancherà a questo Paese.
Ma é al Sylos economista che voglio riandare in chiusura, con uno sguardo (amaro) al futuro, oltre
che al passato. Quando egli compì 70 anni, che allora comportava l’abbandono dell’insegnamento, gli
fu fatto omaggio di un libro in suo onore, (Istituzioni e mercato nello sviluppo economico, 1980, a
cura di Biasco, Roncaglia, Salvati), cui contribuirono con saggi inediti, scritti appositamente per
l’occasione, una serie di giganti del pensiero economico del dopoguerra: Goodwin, Kindelberger,
Minsky, Steindl, Rotchild, Modigliani; Bharadwaj e, poi, Baumol, , Eckaus, Godley, Rosenberg,e
Sachs (basterebbe questo elenco a capire quale risonanza internazionale abbia avuto la sua opera
scientifica). Se escludiamo Modigliani – che pure é stato sempre molto attento alla corrente di
pensiero che Sylos ha rappresentato, al pari di Samuelson e Solow, che inviarono calorosi messaggi
nell’occasione – quei nomi rappresentano un campionario di studiosi che, con Sylos, ha imposto
rispetto a un modo di concepire l’economia. Una “squadra” come questa – se di squadra si può parlare
per tante individualità – nasce in una temperia particolare di tensione culturale e fervore teorico.
Nel frattempo sugli studi economici di economia é passato il rullo compressore della
standardizzazione che li ha appiattiti e uniformati in un unico paradigma di scienza normale (nel senso
in cui Kuhn la definisce), sotto l’impulso di istituzioni accademiche e culturali statunitensi (e, per
conformazione, europee) che ne hanno adottato e trasmesso il canone e che oggi stabiliscono lo
standard professionale di chi si forma in questa disciplina. E poiché in epoca di globalizzazione,
l’egemonia culturale tende a uniformare le correnti di pensiero, quel tipo di formazione finisce per
pervadere – oltre che le accademie – le burocrazie, le sfere della politica, i centri di diffusione
culturale, i media e dare la base al senso comune.
Se un Sylos muore non é sostituibile. Coloro che ho volutamente citato per primi
nell’elenco precedente, ci hanno abbandonato prima di Sylos. E ancor prima di loro erano scomparsi
altri economisti, che, come Kaldor e Okun, apparterrebbero idealmente a quell’elenco.
Certo esistono altri fuochi di riflessione e indirizzi del pensiero critico. Sylos li avrebbe
visti con simpatia (ma non indistintamente) e forse utilizzati. Tuttavia non sono approcci
intercambiabili con quello che ha espresso la genìa di cui Sylos faceva parte, perché qui si
tratta di un filone a sé con ingredienti sui generis. Quei giganti del pensiero erano in ogni caso
capaci, ovunque andasse la professione, di dar forza di penetrazione alle loro posizioni, attrarre
attenzione e rispetto, riempire da soli le caselle di una impostazione creativa. Ma scomparsi
loro una intera impostazione rischia di spegnersi o trovare approdo in altre discipline, perché
oggi uno studioso con una formazione multidisciplinare, induttiva e immaginativa, alla ricerca
di risposte disciplinari per l’analisi sociale o per i problemi (anche operativi) dello sviluppo e
della crescita non eligerebbe l’economia normale come proprio campo di studio.
Ma la ruota continuerà a girare e per fortuna la forza del pensiero che Sylos e gli altri ci
lasciano é tale da continuare a seminare e mantenere un patrimonio che ritornerà prezioso
quando questa ondata di ideologismo si spegnerà.
Scritti selezionati di Sylos Labini
Sylos Labini P., 1949, “The Keynesians (a letter from America to a friend)”, Banca Nazionale del
Lavoro Quarterly Review, vol. 2, n. 11, pp. 238-42.
Sylos Labini P., 1960 Economia capitalistiche e pianificate Laterza, Bari
Sylos Labini P, 1956, Oligopolio e progresso tecnico, Giuffrè, Milano; rist. 1957; nuova ediz.,
Einaudi 1964, 1967;
Sylos Labini P. e Guarino G., 1956, L’industria petrolifera, Giuffrè, Milano.
Sylos Labini P. e Fuà G., 1963, Idee per la programmazione, Laterza, Bari.
Sylos Labini P. (a cura di), 1966, Problemi dell’economia siciliana, Feltrinelli, Milano.
Sylos Labini P., 1967, “Prezzi, distribuzione e investimenti in Italia dal 1951 al 1966: uno schema
interpretativo”, Moneta e Credito, vol. 20, pp. 265-344; trad. inglese, “Prices, distribution and
investment in Italy 1951-1966: an interpretation”, Banca Nazionale del Lavoro Quarterly Review, vol.
20 n. 83, pp. 316-75.
Sylos Labini P., 1969, Dispense di economia 1968-69, Edizioni dell’Ateneo, Roma.
Sylos Labini P., 1970, Problemi dello sviluppo economico, Laterza, Bari.
Sylos Labini P., 1972, Sindacati, inflazione e produttività, Laterza, Bari; trad. inglese Trade unions,
inflation and productivity, Lexington Books, Lexington (Mass.), 1974.
Sylos Labini P., 1974, Saggio sulle classi sociali, Laterza, Roma-Bari.
Sylos Labini P., 1976, “Competition: the product markets”, in Wilson T. e Skinner A.S. (a cura di),
The market and the state, Clarendon Press, Oxford, pp. 200-32; trad. it. in Sylos Labini 1984, pp. 5-
38.
Sylos Labini P., 1979, “Prices and income distribution in manufacturing industry”, Journal of Post
Keynesian Economics, vol. 2, n. 1, pp. 3-25.
Sylos Labini P., 1983, Il sottosviluppo e l’economia contemporanea, Laterza, Roma-Bari.
Sylos Labini P., 1984, Le forze dello sviluppo e del declino, Laterza, Roma-Bari.
Sylos Labini P., 1985, “La spirale e l’arco”, Economia politica, n.1.
Sylos Labini P., 1986, Le classi sociali negli anni ’80, Laterza, Roma-Bari.
Sylos Labini P., 1987, “Anche la teoria della disoccupazione è storicamente condizionata”, Moneta e
Credito, vol. 40 n. 159, pp. 247-301; rist. in Sylos Labini 1993, pp. 184-241.
Sylos Labini P., 1989, Nuove tecnologie e disoccupazione, Laterza, Roma-Bari.
Sylos Labini P., 1989, “La riduzione dei tassi di interesse” Moneta e Credito, vol. 42 n. 168, pp. 445-
477
Sylos Labini P., 1992, Elementi di dinamica economica, Laterza, Roma-Bari.
Sylos Labini P., 1993, Progresso tecnico e sviluppo ciclico, Laterza, Roma-Bari; trad. inglese
Economic growth and business cycles, Edward Elgar, Aldershot, 1993.
Sylos Labini P. (a cura di), 1994, Carlo Marx: è tempo di un bilancio, Laterza, Roma-Bari.
Sylos Labini P., 1995, “Why the interpretation of the Cobb-Douglas production function must be
radically changed”, Structural change and economic dynamics, vol. 6, pp. 485-504.
Sylos Labini P., 2000, Sottosviluppo. Una strategia di riforme, Laterza, Roma-Bari
Sylos Labini P., 2003a, Scritti sul Mezzogiorno (1954-2001), Piero Lacaita Editore, Manduria-Bari-
Roma.
Sylos Labini P., 2003b, Berlusconi e gli anticorpi. Diario di un cittadino indignato, Laterza, Roma-
Bari.
Sylos Labini P., 2005, Torniamo ai classici, Laterza, Roma-Bari.
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