
E’ mancato l’economista Giacomo Becattini. Lo ricordiamo con questo pezzo su PSL e i distretti industriali.
di Giacomo Becattini
Chi abbia seguito gli interventi sulla stampa, economica e non, di Paolo Sylos Labini in questi ultimi anni, non può non aver notato la sua attenzione e, diciamo simpatia – non acritica, ovviamente – per lo sviluppo dei nostri distretti industriali. Molti lettori avranno pensato che questa posizione scaturiva da un giudizio particolare di Sylos sulla situazione italiana, la quale, purtroppo – molti pensano – fallita la via maestra dello sviluppo capitalistico, ossia della grande, sempre più grande, impresa, deve ricorrere – come male minore – ai distretti di piccole e medie imprese manifatturiere. Ebbene, avendo a lungo parlato con Sylos di queste cose, mi sento di affermare che la recente, ma non recentissima, attenzione di Sylos per i distretti industriali, non si può ridurre a un giudizio contingente sulle possibilità attuali dell’Italia nella divisione del lavoro.
Molti di noi hanno seguitato a lungo, per pigrizia mentale o altro, a vedere in Sylos Labini il teorico della grande impresa, malgrado che egli avesse mostrato, da tempo (almeno dal 1983, se non erro) attenzione per la piccola e media impresa. Anche chi scrive – confesso – ha seguitato a vedere in lui soprattutto lo studioso dell’oligopolio concentrato. Ripensandoci oggi, avrei dovuto capire per tempo che quel piccolo capolavoro che è il Saggio sulle classi sociali del 1974, aveva implicazioni economiche importanti. La conclusione che egli traeva dai suoi studi – di carattere, diciamo, sociologico – era che, contrariamente alle attese di molti, non solo non si era avuta una polarizzazione ai due estremi della scala sociale, ma si era realizzata, al contrario, una crescita impetuosa delle classi medie. Ebbene, da questa conclusione “sociologica” discendevano due conseguenze economiche:!la crescita impetuosa e continua della piccola borghesia produttiva, parte non trascurabile della classe media, sottintendeva la nascita e la vitalità di una miriade di piccole imprese; ” il capitalismo fordista, luogo classico, forse più apparente che reale, dell’oligopolio concentrato, sotto l’incalzare della domanda di prodotti differenziati, era ormai al tramonto.
Se avessimo colto allora-parlo anche per me- quelle implicazioni, avremmo potuto fornire per tempo indicazioni congrue per lo sviluppo del nostro Paese. Ma non lo capimmo. Nel caso mio c’era un fattore particolare che impediva la comprensione delle implicazione del Saggio sulle classi sociali, io stavo arrivando ai distretti industriali attraverso un’analisi dello sviluppo toscano che attingeva ad Alfred Marshall, autore ch’era, per Sylos, uno dei maggiori responsabile del carattere “statico” della teoria economica neoclassica. Questa disparità di giudizio su Marshall è rimasta per anni a offuscare il nostro colloquio; e ciò mentre la nostra diagnosi esplicita dei mali italiani si andava avvicinando.
Un paradosso? La spiegazione si trova a pagina 25 del suo Torniamo ai classici (Laterza, 2005), dove, dopo aver ribadito le sue riserve sulla teoria marshalliana degli equilibri di mercato, scrive: «L’analisi marshalliana del ruolo dei distretti industriali», vista in un contesto dinamico, che le è, evidentemente, congeniale, «ha grande utilità per analizzare i problemi dello sviluppo». Questa conclusione segna dunque la convergenza di due linee di riflessione di Sylos Labini: quella teorica sul carattere intrinsecamente dinamico dell’economia politica e quella empirica dello studio della economia e della società del nostro Paese.
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