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«L’economista, non diversamente dal sociologo, studia
la societa’ della quale fa parte: egli non e’ estraneo
all’oggetto del suo studio nel senso particolare in cui si puo’
affermare che lo sia il cultore di scienze naturali.
…Se lo studioso non puo’ sperare di essere
rigorosamente obiettivo (cio’ che e’ impossibile), puo’ e
deve tuttavia sforzarsi di essere intellettualmente onesto,
ossia puo’ e deve cercare di vedere tutti gli aspetti di un
determinato problema, anche gli aspetti per lui sgradevoli, e
non solo quelli che sono conformi alla sua ideologia o utili
per la sua parte politica».
Questo e’ solo un frammento della saggezza di Paolo
Sylos Labini, il decano degli economisti italiani, che se n’e’
andato ieri a 85 anni, dopo aver segnato mezzo secolo di
storia del pensiero economico con l’originalita’ della sua
analisi. Onesta’ intellettuale e passione civile sono stati
infatti la cifra inconfondibile della vita di questo studioso
nato nel 1920, da una famiglia mezza spagnola e mezza
sorrentina, laureatosi in giurisprudenza nel 1942, che dopo
gli studi con Alberto Breglia si specializzo’ ad Harvard
(Cambridge, Massachusetts, Usa) e Cambridge in Gran
Bretagna. Dopo aver vinto una borsa di studio per l’America
e dopo aver fatto amicizia a Chicago con Franco Modigliani,
Sylos Labini fu allievo di Joseph Schumpeter, che gli
trasmise l’interesse per il rapporto tra innovazione,
economia e societa’ (come si sa Schumpeter attribuiva una
grande importanza al ruolo dell’imprenditore innovatore).
Gli studiosi che piu’ hanno approfondito l’analisi delle
sue teorie, in ogni caso, lo considerano a tutti gli effetti un
economista classico. Lui stesso, del resto, parlando delle
esperienze nelle due Cambridge, ricordava: «Uscii da tutte
queste esperienze con la convinzione che lo sforzo da
compiere fosse quello di tornare agli economisti classici con
occhi moderni e con spirito critico». Cosi’ come per Adam
Smith, anche per Sylos Labini l’aumento del reddito degli
individui e delle nazioni non e’ un obiettivo da considerare
come fine in se stesso, ma come strumento per lo sviluppo
civile.
Nel 1949 collaboro’ alla stesura del Piano per la
ricostruzione economica e sociale dell’Italia cioe’ il Piano
del lavoro proposto da Giuseppe Di Vittorio. Il suo
contributo teorico piu’ importante e’ senza dubbio Oligopolio
e progresso tecnico pubblicato nel 1956: in quest’opera
sosteneva che l’oligopolio puo’ coesistere con le piccole
imprese e analizzava i rapporti tra aziende grandi e piccole
e progresso tecnico. Saranno proprio l’analisi delle forme di
mercato, il rapporto che intercorre fra concorrenza, forme
oligopolistiche e sviluppo economico, gli studi approfonditi
insieme a Joe Bain e a Franco Modigliani, quelli che lo
renderanno famoso nel mondo facendone un candidato
stimatissimo per il premio Nobel.
Ma un altro contributo fondamentale fu quello dato da
Sylos Labini alla politica economica italiana negli anni
Sessanta: dal 1962 al ’64 fu membro della commissione
nazionale per la programmazione economica insieme a
Giorgio Fua’, Pasquale Saraceno, Beniamino Andreatta e
Siro Lombardini. Con Fua’ presento’ un rapporto nel quale
sosteneva che la programmazione, prima ancora che una
questione economica era un problema istituzionale da
affrontare con l’aiuto di giuristi e studiosi delle discipline
politiche e sociologiche. Usci’ da quest’esperienza piu’
disilluso: «Le riforme che auspicavamo sono state introdotte
parzialmente. Riconosco che ho avuto torto, che ho peccato
di ottimismo o, se si preferisce, di ingenuita’».
Poi, tra il 1966 e il 1967 con il comitato tecnico
scientifico del ministero del Bilancio, Sylos lavoro’ al
modello econometrico dell’economia italiana e fu la prima
ricerca sistematica in campo econometrico condotta sul
nostro sistema. Seguirono, a cavallo degli anni 70, una
serie di importanti lavori sui salari, la produttivita’ e
l’inflazione. E non va dimenticato neanche il famosissimo
“Saggio sulle classi sociali”, ritratto della societa’ italiana
nella prospettiva storica del ‘900, nel quale si mette in
evidenza la terziarizzazione, cioe’ «il fortissimo aumento
della piccola borghesia impiegatizia e commerciale: da
meno di un milione su 16 milioni di occupati al principio del
secolo (ventesimo) ad oltre 5 milioni su 19 milioni di
occupati».
Qualche anno fa, allo storico Lucio Villari che aveva
colto l’occasione di un’intervista per fargli gli auguri per i
suoi ottant’anni, Sylos Labini rispose: «Gli auguri non sono
per me ma per l’Italia. Io sono un allegro pessimista, con
una grande rabbia di vedere il nostro Paese con la sua
storia, la sua bellezza, il patrimonio di pensatori come
Cavour, Cattaneo, Salvemini, Ernesto Rossi e tanti altri,
ridotto ad avere una classe politica senza spessore, senza
forza ideale, senza grandi programmi…». Adesso il suo
“allegro pessimismo” ci manchera’.

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