Tra impegno civile ed esercizio critico
di Innocenzo Cipolletta
Per chi ha frequentato negli anni Sessanta la facoltà di Scienze Statistiche all’Università La
Sapienza di Roma (ed io mi sono laureato nel 1965 in statistica), la figura di Paolo Sylos Labini
era una finestra aperta sul mondo e sul futuro. Non solo ci portava le nuove teorie e ci faceva
capire l’approccio quantitativo dinamico all’analisi economica, ma aveva il gusto
dell’irriverenza e quindi ci aiutava a dubitare dei dogmi, a verificare con i dati ogni teoria, a
essere aperti a nuove interpretazioni, anche quando esse smentivano impostazioni che sembravano
consolidate. Questo gusto per ciò che è nuovo e diverso lo ha accompagnato nella sua vita
scientifica e pratica. Come quando ha avviato le riflessioni sull’oligopolio, che è il caso ben più
frequente e probabile nella realtà, come vediamo anche nei nostri giorni, rispetto ai due casi di
scuola estremi, il monopolio e la concorrenza, che invece per decenni hanno ricevuto
l’attenzione degli studiosi canonici. Così è stato quando si è rivolto a misurare le classi sociali
in Italia, rompendo alcune convenzioni che volevano il Paese diviso tra proletari e borghesi, e
individuando nuove categorie che spezzavano questo dualismo fino ad allora trionfante. Ancora,
quando ha affrontato le tematiche dello sviluppo e, fra i primi, ha messo in evidenza la rilevanza
degli aspetti sociali, culturali e istituzionali nello spiegare lo sviluppo dei Paesi più poveri, tanto
da distinguere tra Paesi che avevano avuto una colonizzazione dal mondo anglosassone (cresciuti
più in fretta) e Paesi di cultura latina (ancora alle prese con il sottosviluppo di stampo feudale),
mentre molti studiosi si attardavano ancora sulle spiegazioni relative alla disponibilità dei fattori
di produzione (lavoro, capitale e materie prime), alle protezioni nei confronti dei Paesi più
sviluppati, e così via. Negli ultimi anni Paolo Sylos Labini aveva focalizzato il suo interesse
sulla ricerca come fattore di crescita e non si capacitava su perché le imprese italiane spendessero
così poco in ricerca. Certo, non gli sfuggiva il fatto che le ridotte dimensioni delle imprese
italiane era una causa non secondaria dell’insufficiente spesa in ricerca del nostro sistema
produttivo. Ma, come suo solito, questa circostanza non rappresentava ai suoi occhi una
giustificazione per arrendersi. Se c’è un motivo per cui le piccole imprese investono poco in
ricerca, allora vuol dire che è proprio su questo motivo che bisogna insistere per trovare la
soluzione. E lui la soluzione l’aveva individuata: se le piccole imprese, singolarmente, non
riescono a investire in ricerca in modo sufficiente, allora occorre che lo facciano assieme. Nasce
da qui la sua ultima battaglia, a favore dei distretti industriali, intesi, non già come agglomerati
sociali capaci di specializzazioni vincenti, ma come organismi da impiegare per dar vita a un
investimento collettivo in ricerca, tramite anche l’intervento pubblico. Come al solito la sua
battaglia era generosa e quindi Paolo Sylos Labini si spese tutto per questo obiettivo, ottenendo
anche l’attenzione del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi che aveva una intima
stima per Sylos. Ma le sue generose battaglie non hanno riguardato solo il campo dell’economia.
Dove intuiva ci fosse ingiustizia e corruzione, lì c’era anche Paolo Sylos a combattere in prima
linea. E purtroppo il nostro Paese gli ha dato molti motivi per impegnarsi nelle battaglie civili: da
quella che intraprese negli anni Sessanta contro la speculazione immobiliare per la costruzione
della seconda Università di Roma di Tor Vergata, alle epiche battaglie a Cosenza sempre
nell’ambito dell’Università, fino alle ultime, che lo hanno visto in prima linea contro il
monopolio televisivo, contro la corruzione e per un sistema politico indipendente dal mondo degli
affari. Se l’insegnamento di Paolo Sylos Labini è stato grande nel campo delle scienze e
rimarrà per le molte intuizioni che gli dobbiamo, credo che il suo insegnamento di impegno civile
è stato altrettanto grande, nell’indicare la necessità di non guardare in faccia nessuno, se c’è
da combattere contro l’ingiustizia e la corruzione. E più si ha un ruolo pubblico ed una visibilità
esterna, più si ha responsabilità di denuncia e di esposizione in prima persona, anche a costo di
prendere rischi personali. Questo è un insegnamento che travalica il mondo delle scienze e che ci
porta in pieno nella vita di tutti i giorni. Un insegnamento che questa casa editrice e questo
giornale, «Il Sole-24 Ore», intendono onorare giorno per giorno.
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