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L’ultimo saluto del prete al professore
di Pietro De Luca

“Se un prete deve proprio esserci al mio funerale, vorrei scegliermelo io: chiamatemi don Pietro De Luca”. Hanno interpretato così il desiderio del Professor Paolo Sylos Labini, l’amabilissima Signora e i figli Franco e Stefano. E così è stato: sabato scorso, nella Cappella dell’Università  “la Sapienza” in Roma, è toccato a me celebrare la Santa Messa di commiato dell’insigne economista. C’erano gli amici più cari, gli allievi, oggi cattedratici, di quest’illustre studioso che una vita intera ha dedicato alla scienza e alla ricerca, collocando il suo nome tra i grandi del secolo scorso e dell’inizio del nuovo millennio. Il “contatto” con il Professore è avvenuto una sera di alcuni anni addietro, in casa del Professor Barbiellini Amidei, a tavola, appuntamento di distesa e tranquilla conversazione, per nessun tratto mai assolutamente banale. “Lei, Padre, è calabrese, se ho capito bene, e di Cosenza, e allora mi permetta di raccontarle la storia di quanto e come anch’io sono stato calabrese, nel comitato di fondazione dell’Università “. Da qui è partito un racconto dipanatosi con una lucidità  impressionante, come fosse stato ieri, con date, nomi, descrizioni, particolari, avventure e disavventure (ci sono state anche queste!), progetti portati a termine e sogni morti all’alba, che tanta amarezza ancora gli procuravano. Anche quest’impresa, come tutte le altre della sua vita, ha vissuto con passione e dedizione profonda. E poi, la curiosità, accesa dall’interesse di un uomo che mai aveva perso di vista la nostra regione, che si esprimeva in mille domande sullo stato di salute della Calabria: economia, cultura, società, scuola,’ndrangheta e sviluppo.

Soggezione dinanzi ad uno studioso di quell’altezza? Nessuna. Mi sono sentito, in verità, all’inizio un po’ impari al compito, ma non era il Professore che m’interrogava. Era l’amabile conversatore che rivelava più di un suo segreto. Per esempio: che l’economia non è solo teoria, ma anche cultura e storia; che sviluppo ed etica, politica e morale, affari e rigore vadano inscindibilmente insieme; che le proprie convinzioni valgono quanto quelle dell’interlocutore purché restino entro i limiti di un comune denominatore: il rispetto reciproco e la coerenza nelle
scelte pratiche. Mai la professione di una laicità  che scada in laicismo, come pure l’allergia di un credo clericale che scada in clericalismo. Un intellettuale, insomma, anche alla sua età, disposto ad avanzare in conoscenze e pronto a rivedere posizioni, ma intransigente sull’onestà  dello stesso pensare e nell’esigenza di procedere sempre a schiena dritta. Allergico, con tutta evidenza, a questa politica non più a servizio dell’Italia, ma del padrone di turno: oggi Berlusconi, ieri chi ha marciato con metodi piuttosto simili o assai discutibili. I contatti con il Professore, per suo stesso desiderio, sono continuati; l’ultima telefonata il 30 ottobre scorso, giorno del suo compleanno, come ebbe a rivelarmi lui stesso. E per i lettori del nostro giornale ha voluto anche dedicare, sotto forma di intervista, una bella pagina alla nostra Regione e sull’Università.

Paolo Sylos Labini ha scritto di se stesso: “Non sono credente, ma ho grande rispetto per chi crede e si comporta di conseguenza”. Ad ascoltare i suoi discorsi, a leggere le sue pagine, ma anche a sfogliare l’album dei suoi 85 anni, una cosa è apparsa sempre certa: il suo credo era nell’uomo, nel rispetto che gli si deve sempre, nell’amore alla giustizia, nella predilezione per i poveri e gli indifesi della terra. Una predica, la sua, laica per quanto si voglia, ma intrisa essenzialmente di sapore evangelico. Non citava esplicitamente i testi sacri, ma che per quelle pagine era passato, certamente sì, si può affermare. Sarà  stato per questo motivo, credo, che un interlocutore, credente e praticante, gli poteva stare
simpatico e anche vicino. E così è stato.

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