Questo è il testo di una lezione di Gaetano Salvenimini che fu pubblicato dalla rivista “Il Ponte” nel febbraio 1950 e che fu poi ripubblicato dalla stessa rivista, con una mia nota, nel marzo del 1994. Riporto qui due brani della lezione e un brano della mia nota del 1994.
Citando l’ultima lezione di uno dei suoi maestri, Coen, Salvemini ricorda, fra le altre, queste sue parole: “Ho procurato d’insegnarvi la consuetudine a manifestare sempre schiettamente, apertamente il vostro pensiero, cercando d’inculcarvi la saldezza del carattere, poiché il carattere val più dell’ingegno e della dottrina”.
Ed ecco la parte conclusiva della lezione di Salvemini:
“Nell’inverno del 1944, conversando in America con un amico, mi venne detto, chissà come, che tutto compreso quel gruppo di amici, che si era formato a Firenze tra il 1982 e il 1985, non poteva dolersi di avere avuto cattiva fortuna. Uno era stato impiccato dagli austriaci; sua moglie e un altro avevano dovuto rifugiarsi in Svizzera; uno era stato sbalzato nell’America meridionale; io nell’America settentrionale; due erano rimasti in Italia: non ne sapevo nulla, ma ero sicuro che anch’essi avevano conservato il rispetto di se stessi. Poter chiudere gli occhi alla luce, dicendo: cursum consummavi, fidem servavi, quale miglior successo nella vita? Questo è quello che conta. L’amico mi guardò interdetto e tacque. Due anni dopo mi disse: ‘Spesso ho ripensato a quello che mi diceste quella volta. Avevate ragione’. Le persone di educazione inglese spesso sono lente a capire, ma capiscono sempre per il verso buono.
Invece di darvi una lezione di storia, ho sprecato un’ora lodando il buon tempo antico: sintomo di senilità galoppante. Ve ne chiedo scusa. Non lo farò più.”
Ed ecco un brano della mia nota introduttiva:
“Negli ultimi anni della sua vita andavo a trovare Salvemini alla Villa La Rufola a Punta di Sorrento, dov’era ospite di suoi amici carissimi. Quando cominciò a stare male, fu assitito amorevolmente da Giuliana Benzoni. Due giorni prima di morire – me lo raccontò la stessa Benzoni, che era presente, andarono a far visita a Salvemini due studentesse di Firenze. Sapevano che stava per morire e si avvicinarono trepidanti e commosse al letto dove il maestro giceva, assopito. Salvemini aprì gli occhi a fatica, le guardò: ‘Come siete carine – disse – se mi rimetto vi sposo tutte e due’.
Cursus consummavi, fidem servavi. Per questo era sereno e scherzava, pur essendo perfettamente consapevole che stava per ‘chiudere gli occhi alla luce’. ”
Paolo Sylos Labini
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