
di Daniela Palma e Guido Iodice
“Quando i fatti cambiano, cambio opinione”, ha affermato recentemente Luigi Zingales sul suo blog (europaono.com) nel giustificare parte delle sue sopraggiunte posizioni keynesiane, citando una frase attribuita comunemente proprio a Keynes. In un articolo per l’Espresso, il professore della Chicago Booth era infatti arrivato a sostenere, come Keynes, che tagliare i salari sarebbe controproducente e non creerebbe più occupazione. Ma non c’è solo Zingales tra i folgorati sulla via di Cambridge: la crisi che si inasprisce rendere sensibile ai problemi generati dall’insufficienza della domanda aggregata una schiera sempre più folta di economisti “ortodossi” (si veda ad esempio l’editoriale di Guido Tabellini pubblicato dal Sole 24 Ore domenica scorsa), precedentemente propugnatori dell’idea che i nodi dello sviluppo siano tutti nell’offerta e che, rimossi questi, il mercato abbia la capacità di autoregolarsi e di creare le condizioni per la piena occupazione. Tutto bene, dunque? Non proprio.
Ed è lo stesso Zingales a suggerirci che il suo “keynesismo” è, per così dire, emergenziale. “Se è difficile aprire nuove imprese o se il capitale umano disponibile non è adatto alle nuove esigenze produttive, qualsiasi stimolo alla domanda aggregata si traduce in inflazione, con pochi o nessun beneficio occupazionale. Se una grossa fetta della popolazione non ha le risorse per acquistare beni e servizi, però, qualsiasi flessibilità strutturale non riesce ad indurre le imprese ad assumere perché senza domanda le prospettive di profitto non ci sono.” afferma Zingales aggiungendo – con riferimento all’Italia – che vi sono sia problemi di offerta che di domanda, con una rigidità dal lato dell’offerta che “ci penalizza fortemente e non può essere curata con politiche di domanda”. Bisogna chiedersi però perché il sistema produttivo italiano non occupa pienamente il suo “capitale umano” qualificato.
E forse questo ha a che fare con l’aver ignorato il ruolo cardine che gli investimenti occupano nella domanda keynesiana e, in particolare, la loro capacità di influire sull’offerta sia in quantità che in qualità. Un intervento pubblico orientato all’investimento – quello che in Italia manca ormai da decenni – può avvicinarci alla piena occupazione correggendo i difetti strutturali dell’offerta che non la rendono adeguata alla domanda dei mercati internazionali. Ma temiamo che Zingales, Tabellini e Giavazzi, di fronte a proposte in tal senso, tornerebbero immediatamente gli antikeynesiani di un tempo.
(da Left, 13 settembre 2014)
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