
L’aspetto paradossale dell’attuale situazione e’ che il pessimismo serpeggia tanto a destra quanto a sinistra. La destra vede una sinistra che sta prendendo il sopravvento, lentamente ma decisamente; e nella sinistra si sentono, in privato e in pubblico, frequenti espressioni d’insoddisfazione, da parte di repubblicani, di socialdemocratici e di socialisti; oppure si sente reiterare una radicale condanna della formula di centrosinistra, considerata come una copertura o una maschera di un governo “obiettivamente” di destra.
Il pessimismo dipende in non lieve misura dalla negativa congiuntura economica. Ma la delusione o l’insoddisfazione che prevalgono a sinistra hanno, bisogna dirlo chiaramente, diverse basi reali: l’enorme costo che il partito socialista ha pagato entrando al governo, con la scissione; i penosi cedimenti su alcuni importanti punti, che pure erano negli accordi di governo: il piu’ grave e’ stato il cedimento sulla ‘democratizzazione’ della Federconsorzi, anche se la questione e’ tutt’altro che chiusa.
Un giudizio per quanto possibile sereno deve tener conto delle condizioni difficili in cui finora si e’ mosso il governo per l’avversa congiuntura; e deve dare atto ai socialisti del senso di responsabilita’ di cui hanno dato prova indicando l’esigenza, come fece Giolitti nel suo memorandum del maggio 1964, di provvedimenti impopolari che, data la situazione infelice per non dire pessima della nostra pubblica amministrazione e particolarmente della nostra amministrazione tributaria, apparivano indispensabili per frenare il peggioramento della congiuntura.
In ogni modo l’attuale governo puo’ recuperare autorita’, puo’ finalmente affermarsi solo se riesce a portare avanti sul serio la politica di programmazione, che fin dal principio fu indicata come il principale impegno da realizzare. Qui credo pero’ che bisogna guardarsi da un equivoco: e’ stato detto che la prova che su questo impegno essenziale il governo fa sul serio ci sara’ se il primo gennaio 1965 verra’ varata la programmazione, altrimenti il governo avra’ nuovamente ceduto. Una tale aspettativa indica una concezione mitologica della programmazione. Questa, se dovra’ essere una cosa seria, dovra’ essere un metodo democratico nella formazione delle decisioni di politica economica. Se pure fosse possibile varare per il primo gennaio 1965 il programma con tutte le decisioni relative agli obiettivi, non sarebbe auspicabile. Sebbene gia’ siano in corso consultazioni al livello della pubblica amministrazione e sebbene altre consultazioni avranno luogo, anche in Parlamento, entro la fine dell’anno, l’approvazione a tamburo battente di un programma definito e reso operativo in tutti i particolari costituirebbe pur sempre una decisione essenzialmente presa in alto; e cio’ sarebbe la negazione del metodo democratico. L’importante e’ di circoscrivere la discussione nel breve tempo che intercorrera’ fra la presentazione del progetto di programma al Parlamento e la fine dell’anno su alcune questioni strategiche, specialmente nel campo della riorganizzazione di alcuni essenziali strumenti d’intervento; l’importante, anche per l’opposizione, e’ d’impegnare il governo ad attuare secondo un calendario prestabilito alcune misure fondamentali, come quelle che illustrero’ fra breve.
Per avere un’idea precisa e concreta su quel che puo’ significare la programmazione intesa come metodo democratico, non c’e’ bisogno di far molte congetture. Basta considerare l’esperienza del piano umbro; e farebbero bene, le direzioni dei partiti al governo e di quelli all’opposizione, a farsi inviare dalle loro organizzazioni umbre relazioni particolareggiate sulla questione. In Umbria ha avuto luogo una vera e propria mobilitazione delle organizzazioni economiche e sindacali, con assemblee e dibattiti di ogni genere; e, paradossalmente, c’e’ stata perfino una contesa, fra democristiani, socialisti e comunisti, per l’attribuzione della paternita’. Naturalmente, un piano regionale, per di piu’ riferito ad una regione non ancora giuridicamente costituita, puo’ avere una ben limitata possibilita’ di attuazione; un tale piano presuppone poi interventi legislativi che possono essere decisi solo al centro; e puo’ avere piena attuazione solo e s’inquadra in un programma nazionale. Ma, come metodo, quello seguito per il piano umbro puo’ costituire un valido modello.
2. Le riforme da fare subito
Ci sono ben cinque riforme che devono essere avviate subito o devono muovere i primi passi entro il prossimo anno; la programmazione riguarda non solo la azione di politica economica, ma anche l’attuazione stessa di tali riforme, le quali ne condizionano l’efficacia. La sinistra deve spingere a fondo per imporre delle tappe precise, dei calendari nell’attuazione di queste riforme. La battaglia e’ dura e sara’ ancora piu’ dura; ma lo scetticismo preconcetto, o il rinvio di ogni azione costruttiva ad un futuro, certamente non prossimo, in cui tutte le forze di sinistra riusciranno ad unificarsi, costituiscono manifestazioni di confusione e, in ultima analisi, d’irresponsabilita’.
l) Riforma delle societa’ per azioni. Nell’ultimo anno la pressione della sinistra, sia di quella al potere sia di quella all’opposizione, e’ stata gravemente insufficiente. Occorre riprendere l’azione ed impegnare il governo a presentare a brevissima scadenza il progetto di riforma, che dovra’ esser pronto a dicembre.
2) Riforma tributaria. Un comitato per l’attuazione della riforma, di cui pochi conoscono l’esistenza, sta per presentare al ministro per le finanze il piano che precisa le tappe annuali da percorrere. In quel comitato, come gia’ nella commissione per la riforma, hanno lavorato studiosi onesti e capaci e si puo’ sperare che il risultato sia positivo. Sulla base delle proposte che saranno contenute nel piano di attuazione occorre studiare provvedimenti “stralcio”, immediatamente attuabili. Ritengo che i metodi e l’organizzazione per l’accertamento offrano un campo nel quale provvedimenti di questo genere possono essere presi abbastanza rapidamente. Un provvedimento d’immediata attuazione potrebbe essere quello dell’unificazione delle denunce dei redditi per l’imposta complementare (nazionale) e per l’imposta di famiglia (comunale). La separazione delle due denunce, i diversi criteri adottati, il diverso periodo della denuncia, sono cause di ulteriori evasioni (specialmente per ‘imposta di famiglia) e perfino di corruzione, poiche’ mantenendo distinto il sistema di accertamento dell’imposta di famiglia, i dirigenti delle amministrazioni locali possono esercitare pressioni economiche e politiche sui contribuenti e specialmente su quelli piu’ grossi.
3) Riforma della pubblica amministrazione. Il compito e’ tremendo; se agli ostacoli obbiettivi si aggiungono quelli deliberatamente o non deliberatamente creati dai gruppi politici che hanno interesse ad una amministrazione pubblica inefficiente, il problema puo’ sembrare quasi insolubile. Analogamente a quanto si sta facendo per la riforma tributaria, occorre predisporre un calendario con scadenze prestabilite, cominciando con provvedimenti circoscritti e facendo leva sulle esigenze che scaturiscono dalla programmazione. La costituzione di segreterie tecniche che funzionino da ‘cervelli per la programmazione’; l’immediato riordinamento di certi rami dell’amministrazione che esercitano funzioni direttamente produttive (come le ferrovie); l’avvio del processo di unificazione degli istituti di previdenza e di assistenza; la preparazione di una “legge quadro” per la riforma generale dei criteri di gestione degli enti pubblici e degli enti che amministrano denaro pubblico (a cominciare dagli enti preposti alla ricerca scientifica), sembrano obbiettivi ben definiti, per i quali e’ possibile prestabilire un calendario.
4) Legge urbanistica. La battaglia e’ in pieno svolgimento e sarebbe un grave errore, per la sinistra, considerarla una battaglia perduta. I punti essenziali possono essere salvati: non bisogna mollare.
5) Regioni. La recente costituzione dei comitati regionali per la programmazione costituisce un passo nella direzione giusta, che crea una delle basi per l’applicazione del metodo della partecipazione democratica. Occorre valorizzare questi comitati, premendo in tutti i modi per renderli organismi vitali; ed occorre non stancarsi di premere per l’attuazione dell’ordinamento regionale.
3. I criteri del piano
Dal punto di vista tecnico, il progetto di programma si fonda su uno schema o ‘modello’ generale del sistema economico, che serve a verificare la coerenza dei diversi obiettivi quantitativi: produzioni, posti di lavoro, produttivita’; rapporto fra investimenti e consumi; rapporto fra impieghi pubblici e impieghi privati del reddito. E’ necessario costruire l’intero sistema di obiettivi appunto per verificarne la reciproca compatibilita’; ma, naturalmente, solo per alcuni dei suddetti obiettivi l’autorita’ pubblica puo’ prendere decisioni dirette; per molti altri obiettivi, puo’ influire non in modo diretto ma indiretto.
L’area dell’economia immediatamente rilevante per la politica di programmazione e’ percio’ quella degli investimenti e dei consumi pubblici. Fra i primi hanno una posizione speciale gli investimenti delle imprese a partecipazione statale, che giuridicamente sono societa’ private, ma economicamente rientrano nella area pubblica.
Quanto alle imprese private, lo Stato puo’ influire sulle loro decisioni d’investimento essenzialmente in tre modi: attraverso la concessione d’incentivi, attraverso la costruzione di “infrastrutture” generiche e specifiche (bonifiche, opere di irrigazione, acquedotti, strade, porti, attrezzature per zone industriali) e, infine, attraverso la politica tributaria.
Per gl’interventi pubblici diretti, il programma consente, anzi impone di rendere razionali e coordinati gl’impegni finanziari, specialmente quelli pluriennali, che finora erano stati presi alla spicciolata e in modo settoriale, per cui capitava che qualche ministro particolarmente dinamico riusciva a varare qualche ambizioso “piano di settore” mentre altri settori restavano gravemente sacrificati. Nel programma appaiono gli ordini di grandezza del volume globale e della ripartizione degli impegni finanziari pubblici: su questa base, cioe’ su una base razionale, potranno svolgersi discussioni approfondite con le pubbliche amministrazioni. Risultera’ chiaro, in queste discussioni, che se si vogliono aumentare certi stanziamenti (per esempio: per la difesa o per la viabilita’) si dovranno ridurre altri stanziamenti (per esempio: per porti o per scuole). E risultera’ chiaro che, se si vuole accrescere il volume globale delle spese pubbliche, si dovranno ridurre gl’investimenti produttivi (privati e pubblici) o i consumi privati. In breve, la predeterminazione, in un quadro generale, degli impegni finanziari pubblici corrispondenti agli obiettivi di fondo che lo Stato vuole perseguire direttamente rappresenta un importante contributo dellaprogrammazione alla razionalizzazione della politica economica. In sede di discussione parlamentare del programma occorrera’ discutere in modo particolare gl’impegni finanziari pluriennali, come quelli relativi alla sanita’ e alla scuola (il cui piano, non ancora vincolante per il governo, tra i molti difetti ha quello di essere ancora una volta un piano settoriale, non veramente integrato nella programmazione generale).
Se il sistema delle imprese a partecipazione statale deve divenire un efficace strumento di programmazione, e’ necessario rafforzare il Ministero che ha il compito di coordinare le decisioni d’investimento di quelle imprese ed e’ necessario rendere piu’ efficace il controllo pubblico sulle direzioni di fondo degli investimenti.
Quanto agli incentivi, si sapeva genericamente che lo Stato spende grosse somme per contributi, per capitale e per interessi, a favore di piccole imprese industriali, delle imprese grandi e piccole che si localizzano nel Mezzogiorno, di imprese di costruzioni e per contributi relativi ad ogni sorta d’investimenti agrari. Ma non si conosceva l’entita’ dell’onere finanziario; quelle erogazioni erano fatte in base ad un gran numero di leggi, adottate per motivi diversi e in tempi diversi, che davano luogo a stanziamenti gestiti nel modo piu’ frammentario che si possa immaginare. Gia’ nella relazione previsionale e programmatica recentemente presentata al Parlamento dai ministri per il bilancio e per il tesoro e’ stata riaffermata la necessita’ di un testo unico sugli incentivi; e, nella nota preliminare al bilancio di previsione, sono state poste in evidenza, in una speciale sezione, le spese destinate agli incentivi nei bilanci dei singoli ministeri: si tratta, per il 1965, di una somma di ben 760 miliardi di lire! (senza contare il “lucro cessante” dipendente da esenzioni o agevolazioni tributarie).Per rendere manovrabile in modo razionale questa enorme massa di mezzi finanziari occorre non soltanto varare il testo unico degli incentivi, ma costituire anche nel bilancio un “fondo di sviluppo economico”, unificando i criteri di erogazione. Questa esigenza e’ espressa esplicitamente nella relazione previsionale e programmatica. Ed anche in questo campo il contributo della programmazione alla razionalizzazione della politica economica puo’ essere importante. Con gli incentivi, lo Stato ha operato finora come un servo sciocco, il quale elargisce denaro, che costa sacrificio ai contribuenti, senza essere veramente in condizione di valutare la rispondenza delle erogazioni alla convenienza pubblica.
Per la politica delle infrastrutture e della localizzazione industriale il progetto di programma propone innovazioni degne di rilievo: l’inserimento della politica dei “poli” di sviluppo in una piu’ ampia cornice, che include le “direttrici” di sviluppo e che quindi contempla le interrelazioni fra i diversi “poli” e lo sviluppo del sistema dei trasporti; e la riforma della Cassa per il Mezzogiorno (connessa con la scadenza della legge istitutiva), la quale riforma, insieme con quella degli incentivi, potra’ rendere piu’ razionale l’azione per lo sviluppo del Mezzogiorno. L’obiettivo fondamentale di questa azione viene indicato (mette conto rivelarlo) in termini di posti di lavoro nelle attivita’ extra-agricole. Sono questi alcuni dei problemi strategici su cui penso che occorrera’ battersi nei prossimi mesi per far compiere i primi decisivi passi alla programmazione. Non basta che dal centro vengano proposte misure che possano apparire valide o ragionevoli; e’ necessario che la pressione sia incessante per migliorare quelle proposte o per indicarne altre, attraverso ampi e approfonditi dibattiti, non solo nel Parlamento ma in tutto il paese.
La programmazione sara’ una cosa seria se sara’ portata avanti attraverso una mobilitazione ed una partecipazione attiva di tutte le organizzazioni economiche e particolarmente di quelle sindacali e degli organismi locali. E’ compito di tutta la sinistra, al governo e all’opposizione, esercitare una tale pressione, abbandonando il pessimismo o lo scetticismo preconcetto. Ma spetta al governo creare le basi per una vasta mobilitazione di forze. E’ su questo terreno che il governo di centrosinistra potra’ rafforzarsi e guadagnare prestigio e autorita’ pieni; altrimenti dopo una vita grama, piu’ o meno breve, sara’ travolto.
Fonte Moneta e Credito ( Originariamente pubblicato in l’Astrolabio , anno II , 10 novembre 1964, n. 20, pp. 7-9)
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