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Daniela Palma e Guido Iodice

Dopo tanta attesa, anche la Germania arriva ad essere processata dalla Commissione Europea, con l’accusa di tenere tirato il freno della domanda interna e di basare la propria crescita (peraltro modesta nel biennio 2012-13) solo sulle esportazioni, contribuendo alla crisi dei Paesi del Sud Europa.

Nel corso del 2012 il surplus tedesco con l’estero ha infatti sforato la soglia del 6% del PIL prevista dal “Six Pack”. L’indagine si annuncia lunga e complessa e la speranza tedesca è quella che si dimostri che l’eurozona può funzionare così com’è, a patto che tutti facciano i “compiti a casa”. Molti sono però gli elementi già  disponibili per mostrare che il funzionamento dell’eurozona debba essere al più presto modificato, se non si vuole rischiare la deflagrazione dell’Unione monetaria.

L’ultimo Rapporto del FMI afferma che gli andamenti delle partite correnti dei paesi euro sono fortemente correlati al ciclo economico. Con l’approfondirsi della recessione nel 2012, i paesi periferici hanno registrato forti miglioramenti dei saldi commerciali in virtù del crollo delle importazioni e, non appena vi sarà  un minimo miglioramento dell’economia, i saldi potrebbero nuovamente peggiorare. Alcuni recenti rilievi dell’Istituto Bruegel – think tank economico di Bruxelles – indicano che alla contrazione dei deficit dei paesi del Sud Europa non è corrisposta una riduzione del surplus tedesco. La Germania ha infatti incrementato le esportazioni fuori dall’area euro e dall’UE, mentre registrava un sensibile calo delle importazioni dovuto alla bassa domanda interna. In prospettiva un’eventuale ripresa della domanda dal Sud Europa tornerà  ad avvantaggiare le esportazioni tedesche, incrementando ulteriormente l’attuale surplus.

Tale domanda risulta infatti strutturalmente dipendente dalle importazioni e condizionata non marginalmente da un’insufficienza della produzione interna in settori tecnologicamente avanzati, fondamentali nelle economie ad elevata industrializzazione. Far sì che la Germania aumenti la domanda interna e accresca la sua inflazione è dunque operazione necessaria ma non sufficiente. Nulla assicura che la reflazione tedesca non avvantaggi più largamente l’export dei BRICs o dei paesi satelliti della Germania stessa, piuttosto che quello dei paesi dell’Europa meridionale. I vincoli sulle partite correnti previsti dal Six Pack, del resto, sembrano essere troppo elevati e i meccanismi di riequilibrio tutt’altro che definiti.

Dal lato dell’offerta, quindi, diventerà  sempre più urgente la necessità  di rivedere i vincoli fiscali e quelli del mercato unico a cui è sottoposta l’eurozona, al fine di attivare politiche di investimento destinate ad incidere sulla base industriale dei paesi più in difficoltà.

Dal lato della domanda, un nuovo sistema monetario europeo, ispirato all’International Clearing Union di Keynes, può facilmente essere disegnato per orientare la domanda estera verso i paesi in deficit, oltre a creare un più ampio spazio per quelle autonome politiche di investimento pubblico necessarie al fine di raggiungere il riequilibrio tra i paesi dell’eurozona, proiettandoli su un percorso di superamento delle cause della sua crisi.

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