
Paolo Sylos Labini : un economista scomodo1
(30 ottobre 1920 – 7 dicembre 2005)
di Paolo Palazzi
Illustrare la figura del professor Paolo Sylos Labini non è un compito facile, non perché la persona fosse particolarmente difficile, al contrario: per la sua schiettezza, per la completa assenza di machiavellismo nei suoi scritti, nei suoi interventi pubblici e privati, il suo pensiero è sempre stato espresso in modo chiaro, trasparente e sincero2.
La sua complessità deriva esclusivamente dall’unificazione di piani che usualmente vengono tenuti più o meno separati. Si tratta di tre aspetti della sua figura: quella accademica professionale come economista, quella politica come persona che considerava l’impegno civile dovere di ogni cittadino e quella morale e umana come persona sensibile alle valutazioni dei singoli anche nei comportamenti pubblici e privati.
Sono tre aspetti che, ricordando Sylos Labini, non è possibile trattare separatamente, tutti e tre hanno sempre interagito rendendo difficile parlare esclusivamente dell’economista o del politico o dell’uomo.
Purtroppo questo mescolare aspetti tendenzialmente valutati separatamente hanno portato Sylos Labini a subire attacchi e conflitti in molte occasioni, tra gli economisti, nella politica e qualche volta, anche se raramente, anche nelle relazioni personali.
Un modo per trattare sinteticamente la sua figura è quella di parlare e discutere di ciò a cui Sylos Labini era più ostile e che vivacemente, con passione e spesso con virulenza contestava.
Si può facilmente iniziare dalla professione di economista: quando si parla di Sylos Labini e dei suoi lavori di economia si dice sempre che lui fu un economista eclettico e non allineato a impostazioni di moda o mainstream. Questo aspetto non è naturalmente una esclusiva della figura di Sylos Labini: di molti altri economisti italiani o stranieri si potrebbe dire la stessa cosa ma, al contrario della maggioranza degli economisti, ciò che rende praticamente unica la figura di Sylos Labini tra gli economisti italiani è stata l’impossibilità di una sua categorizzazione rispetto a una specifica scuola di pensiero. Smithiano? Ricardiano? Schumpeteriano? Keynesiano? Neo-ricardiano? Marxista? Niente può portare a inquadrare il pensiero di Sylos Labini in alcuna di queste caselle, anzi si può dire che in Sylos Labini si trova sempre qualcosa di queste diverse impostazioni, tanto che a questa insieme di pensieri non esito ad aggiungere una ulteriore “categoria”: il “pensiero sylosiano”. Molto spesso mi capitava, nel corso delle lezioni che tenevo all’università, di avvertire gli studenti che quello che stavo descrivendo era basato su un approccio “alla Sylos Labini”, che solo attraverso i suoi scritti era possibile studiare e capire. Non capita a molti economisti poter dire di loro che l’unico modo per sapere come la pensano è leggere quello che hanno scritto: infatti nella stragrande maggioranza gli economisti si rifanno a scuole di pensiero, con adattamenti marginali a modelli altrui, e riproposizione di posizioni di altri, creando un intreccio autoreferenziale che sopravvive soltanto in quanto legato al potere accademico delle scuole di pensiero e dei singoli scriventi.
Venendo allo specifico, si può senz’altro dire che il principale “nemico” del pensiero economico di Sylos Labini era l’impostazione neo-classica e liberista. L’ottusità di molti degli aspetti teorici neoclassici, pensiamo ad esempio alla funzione di produzione Cobb-Douglas3, pur con evidenza dimostrata sbagliata da Sylos Labini, continuava, suscitando in lui rabbia e quasi disprezzo, a essere alla base di quell’enorme filone teorico con i piedi di argilla nota col nome di “Economia della crescita”, che ha fatto vincere tanti concorsi universitari a giovani economisti. Ma qui l’economista e il politico in Sylos Labini si confondono: infatti non era solo per una critica teorica e di coerenza interna che Sylos Labini rifiutava completamente l’approccio neo-classico, ma la sua critica era principalmente rivolta alla sua incapacità di spiegare la realtà e le indicazioni errate di politica economica che ne derivavano. Esempio di tale atteggiamento era la critica alle interpretazioni liberiste della crisi del ’29, così come erano state divulgate da Milton Friedman, immeritatamente insignito del premio Sveriges Riksbank Prize in Economic Sciences in Memory of Alfred Nobel, premio ben diverso dai Premi Nobel per le altre scienze a cui viene erroneamente associato, in quanto creato nel 1968 dalla Sveriges Riksbank, la Banca Centrale Svedese.
Una sintesi dell’eclettismo di economista di Sylos Labini si può trovare nella costruzione di un Modello econometrico dell’economia italiana (noto come il MoSyl): essendo il modello composto da molte equazioni, riesce in ognuna di esse a rappresentare un approccio teorico originale che mescola teorie economiche diverse e quindi di fatto le trasforma in un approccio teorico “alla Sylos”.
Descrivere la collocazione politica di Sylos Labini è relativamente facile se si considera l’aspetto ideologico: senza tema di smentita, la sua collocazione era quella del riformismo di sinistra. In estrema sintesi Sylos Labini era perfettamente convinto che il sistema capitalistico non poteva di per sé garantire il raggiungimento di una società giusta e, a lungo andare, anche coloro che da questa ingiustizia risultavano avvantaggiati sarebbero stati colpiti a causa del malfunzionamento del sistema. Le sue convinzioni teoriche economiche, che vedevano l’approccio liberista neo-classico, basato sul raggiungimento automatico a una situazione di equilibrio, spesso definito come ottimo per tutti, come teorie sbagliate e dannose, lo portarono a giudicare la “sudditanza” della politica ai puri meccanismi economici di mercato come una politica subalterna agli interessi dei più potenti e dannosa per la maggioranza della popolazione.
Dal punto di vista ideologico Sylos Labini può essere considerato un socialista riformista? A mio parere questa definizione non rappresenta bene la sua posizione: senz’altro una visione riformista della società, intesa come necessità di un intervento pubblico capace di modificare meccanismi di funzionamento del sistema capitalistico evitandone le maggiori storture e inefficienze, era profondamente radicata in Sylos Labini. Inoltre c’è un’ampia letteratura sul suo contrasto a visioni rivoluzionarie di sinistra, sia nella società, sia nel dibattito che si svolgeva nel suo luogo di lavoro, l’università. Nel suo articolo pubblicato sull’ “Astrolabio“ relativo ai problemi dell’università 4 appare già chiara, agli albori dei movimento del ’68, la sua critica all’estremismo di quegli anni. Critiche che negli anni successivi lo portarono addirittura a ricevere minacce da parte di gruppi della lotta armata di sinistra e a un periodo di vita sotto scorta. Detto questo, il problema è nella definizione di “socialista”: credo che in Sylos Labini non ci fosse una chiara visione di un assetto della società che potesse chiamarsi socialista. O meglio, mentre era chiaro quanto lui fosse favorevole a un funzionamento della società con meno disuguaglianze e maggior giustizia e moralità, non credo che in lui fosse chiaro quale assetto complessivo politico e sociale potesse raggiungere questi obiettivi.
Sinora, ed è stata la parte più semplice, abbiamo parlato di politica nel senso “nobile” della parola, ma per una persona come Sylos Labini, mantenersi nel limite della teoria e dello stimolo attraverso il proprio lavoro di professore consistente nell’insegnare, nel fare ricerca e nello scrivere, era impossibile. Chi lo ha conosciuto sa bene come dalle sue idee scaturiva un impulso irrefrenabile a impegnarsi con incredibile intensità fisica e intellettuale a che le sue idee portassero a risultati concreti, piccoli o grandi che fossero.
Ovviamente questo passaggio dalla teoria alla pratica si scontrò con la necessità di mediazione con la politica professionale, quella partitica in particolare. Su questo passaggio Sylos Labini non si tirò mai indietro, anche se, come vedremo, è in questo passaggio che si riscontreranno le maggiori “sconfitte” e delusioni del suo impegno politico.
Iniziamo con il periodo, forse il più vivace e idealistico del suo impegno, che lo vide coinvolto nel grande dibattito nella seconda parte degli anni Sessanta relativamente alla programmazione economica.
Può aiutare in questa descrizione l’esempio della collaborazione di Sylos Labini con la rivista L’Astrolabio. La collaborazione “ufficiale” di Paolo Sylos Labini all’Astrolabio inizia nel 1963 con un articolo dal titolo “Programmazione contestata”, pubblicato sul n. 4 del 10 maggio. Alla lettura di questo primo articolo si rimane inizialmente impressionati dal fatto che gli obiettivi ricalcano esattamente quelli discussi attualmente dalla politica e dagli economisti, anche se le diverse ipotesi sugli strumenti da utilizzare per raggiungerli non sono sempre le stesse.
Veniamo ai temi e problemi affrontati: ad un lettore di oggi nulla di nuovo (in realtà oggi sono vecchi ma allora erano nuovi): 1) la crescita (da Sylos Labini chiamata più correttamente sviluppo); 2) lotta alla povertà; 3) diminuzione (“eliminazione”, nel linguaggio ottimista di quegli anni di Sylos Labini) degli squilibri Nord-Sud; 4) uguaglianza nei trattamenti salariali; 5) organizzazione del welfare (che Sylos Labini chiama consumi sociali).
La differenza rispetto alle ricette attualmente proposte ormai indifferentemente da ogni governo, quali che siano le forze che lo appoggiano, è che in quegli anni il gruppo di economisti che in qualche modo si rifacevano al socialismo riformista vedeva nell’intervento programmatore dello Stato l’elemento chiave per la soluzione dei problemi dell’Italia. Proposte che oggi farebbero inorridire in Italia qualsiasi ministro dell’economia di ogni partito e di ogni tipo di governo.
Certamente anche in quegli anni esistevano posizioni liberiste, simili a quelle attuali, ma le accuse che si gettavano su Sylos Labini e gli altri erano quelle di voler costruire una non meglio identificata centralizzazione e pianificazione di tipo sovietico. Facile per lui era confutare queste critiche, tanto che ciò provocò il ricevere critiche anche dal Partito Comunista di allora, ancora legato alla realtà dell’URSS.
Sylos Labini aveva senza dubbio l’idea che la crescita economica doveva essere l’obiettivo di base per un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini. I primi tre obiettivi erano visti raggiungibili solamente se poteva essere innescato un processo di forte e continua crescita del PIL.
La base per la crescita era senza dubbio vista negli investimenti produttivi delle imprese, ma condizione indispensabile affinché questi investimenti potessero avere luogo e potessero dare i risultati previsti in termini di occupazione, di lotta alla povertà e di riduzione degli squilibri Nord-Sud, era la loro collocazione in un quadro di programmazione economica pubblica. Programmazione che, nonostante le accuse, non aveva assolutamente nulla a che vedere con la pianificazione sovietica, ma era essenzialmente una combinazione tra quattro interventi: incentivi alle imprese private, modernizzazione delle infrastrutture, gestione efficiente delle aziende pubbliche e interventi normativi essenzialmente per evitare infiltrazioni mafiose o genericamente della criminalità organizzata.
Che la crescita quantitativa del PIL non fosse sufficiente a garantire una società più giusta è leggibile abbastanza chiaramente nelle posizioni politiche del socialismo riformista nei primi anni dell’ “Astrolabio“: non è un caso che venga dedicata una specifica attenzione a due degli aspetti in grado di misurare il livello di equità di un sistema economico. I due aspetti specificatamente trattati sono: l’equità in termini di salari e l’equità in termini di servizi.
La posizione di Sylos Labini relativamente al ruolo del salario è quella di vederlo nei suoi due aspetti: quello di sviluppo della domanda e quello di costo di produzione. Ovviamente l’interesse della singola impresa sarebbe quello di minimizzazione dei salari, dei propri lavoratori e massimizzazione dei salari dei lavoratori nelle altre imprese. Da questa contraddizione insanabile deriva la necessità di una politica dei redditi che veda la dinamica salariale legata alla crescita della produttività: cioè crescita della domanda senza aumento del costo del lavoro. Anche nel caso della contrattazione aziendale è chiaro in Sylos Labini il ruolo determinante che deve avere l’intervento pubblico come mediatore tra gli interessi contrapposti dei lavoratori organizzati nei sindacati e le imprese.
Per quanto riguarda i servizi, la visione che Sylos Labini ha è quella della creazione di un moderno sistema di welfare che venga accompagnato dalla crescita del PIL. Anche se è possibile interpretare il pensiero di Sylos Labini di teorico e fautore della crescita come presupposto per la creazione di un benessere generale, risulta altrettanto evidente che per lui una crescita che non si accompagni a un aumento della uguaglianza dei cittadini dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista geografico e da quello dell’estrazione sociale, sarebbe da considerare una crescita sbagliata o addirittura dannosa. Non è un caso che Sylos Labini preferisca quasi sempre al termine di “crescita” usare quello di “sviluppo”, incorporando agli aspetti quantitativi della crescita del PIL quelli qualitativi del benessere diffuso e dell’uguaglianza fra i cittadini.
Negli scritti di Sylos Labini sull’Astrolabio si fa spesso riferimento al Partito Socialista Italiano e quindi può essere interessante illustrare quali siano stati i suoi rapporti politici e organizzativi col PSI. Sylos Labini non prese mai la tessera del Partito Socialista, ciononostante la sua vicinanza al partito fu senz’altro stretta e essenzialmente dovuta a rapporti personali con socialisti che stimava profondamente. A parte i suoi legami culturali e politici molto stretti con Ernesto Rossi, Gaetano Salvemini e Ferruccio Parri, i socialisti che lo portarono a collaborare con il PSI furono Antonio Giolitti, Riccardo Lombardi e Giorgio Ruffolo.
Con il PSI di quegli anni (in particolare gli anni della nascita del centro-sinistra) partecipò a intense attività politiche che lo videro, oltre che influenzare direttamente importanti decisioni del partito, anche assumere cariche nella Commissione per la programmazione e nel Comitato tecnico-scientifico del Ministero del Bilancio.
La sua partecipazione attiva nella gestione politica ebbe però gravi intoppi, dovuti quasi sempre alla sua visione della politica e dell’economia come servizio non separato da giudizi morali sulle persone che la gestivano e con cui collaborava. E’ appunto il terzo aspetto della visone del mondo di Sylos Labini, quello del giudizio sull’onestà e moralità delle persone con cui aveva a che fare, in particolar modo i politici. Notissimo è il suo scontro nel 1974 con Giulio Andreotti, allora ministro del Bilancio, quando Sylos Labini si vide costretto a dare le dimissioni da consulente del comitato consultivo del ministero stesso a causa del rifiuto di Andreotti, coperto dall’allora presidente del consiglio Aldo Moro, di non nominare sottosegretario Salvo Lima, già allora noto fiancheggiatore di Cosa Nostra. Ma “vittima”, principalmente personale ma anche giudiziaria, della visone morale di Sylos Labini fu proprio lo stesso segretario del PSI, Giacomo Mancini, contro il quale si scontrò duramente nel periodo in cui, assieme a Beniamino Andreatta, fondò l’Università della Calabria, zona di stretto controllo politico/clientelare manciniano.5
Con la vittoria di Bettino Craxi i rapporti con il PSI all’inizio si raffreddarono e alla fine degli anni ’70 si “spostarono” alla collaborazione con Mondo operaio, la rivista del partito allora non ancora influenzata da Craxi. La rottura definitiva con il PSI, ma anche con la politica così come si andava affermando di fatto in quasi tutti i partiti politici, avvenne negli anni ’80 con la definitiva “appropriazione privata” del PSI da parte del suo segretario Craxi. La rottura fu con il partito socialista, ma non certo con la propria visione liberalsocialista del mondo: in quegli anni si divertiva infatti a definirsi un “antipatizzante socialista”. Nonostante la stima personale nei confronti di alcuni esponenti del Partito Comunista nel corso delle sue varie trasformazioni e nei confronti di ex democristiani, non fu mai convinto della loro linea politica e quindi non fu mai simpatizzante dei vari nuovi e “variabili” partiti provenienti dal PCI. Per non parlare poi dell’ascesa al potere di Silvio Berlusconi, uomo che riassumeva in sé tutto ciò che Sylos Labini più disprezzava nella sua visione della politica, della moralità e dell’onestà. Disprezzo che negli ultimi anni lo portò ad avvicinarsi, con qualche sospetto e distinguo, all’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro e a cercare di costruire un modo diverso di fare politica, fondando nel 2004 con Elio Veltri, Giulietto Chiesa, Achille Occhetto, Antonello Falomi e Diego Novelli il “Cantiere per il bene comune“. Entrambe esperienze che certamente non brillarono per successi e che finirono nel nulla.
In conclusione, possiamo dire che è nella vita politica di Sylos Labini che si possono intravvedere sconfitte e delusioni, sconfitte e delusioni che però, a mio avviso, costituiscono uno dei suoi principali meriti di Sylos Labini come persona impegnata socialmente. La trasformazione della politica da impegno morale e civile a strumento “machiavellico” di potere, di corruzione e di vera e propria malavita lo vide sconfitto a causa della sua intransigenza rispetto alla moralità e onestà di chi aveva di fronte, indipendentemente dalle idee politiche o dalle ideologie che venivano professate.
1 Parte dello scritto è stato pubblicato sul numero speciale di Moneta e Credito, Vol. 67, N° 265 (2014).
2 Quasi tutte le pubblicazioni di Sylos Labini sono disponibili e gratuitamente scaricabili dal sito dell’Associazione Paolo Sylos Labini, gestita dai suoi due figli (http://wwwsylolabini .info).
3 Si tratta di una funzione matematica, formulata dagli economisti C.W. Cobb e P.H. Douglas, molto usata nell’analisi economica. Nella sua formulazione più semplice essa descrive come varia il prodotto in relazione al variare, rispettivamente, dei fattori di produzione (capitale e lavoro). Molti economisti della teoria della crescita partono da questa relazione di base e ne introducono modifiche di tutti i tipi, tanto che la relazione con il riferimento alla Cobb-Douglas rimane inspiegabile.
4 P.Sylos labini, “Università: la campana critica”, L’Astrolabio, 1968, n. 9, pag 20
5 Vedere sull’argomento l’articolo di F. Parri, “Sylos Labini e l’Università di Cosenza”, L’Astrolabio, 1976, n. 14, pag, 1.
Pubblicato su L’Astrolabio 2014
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