
La mia amicizia con Ernesto [ndr Rossi] risale alla fine del 1949. Ero stato per un anno negli Stati Uniti, a Harvard, dove avevo avuto la fortuna di fare la conoscenza personale e di avere rapporti quotidiani con Gaetano Salvemini, che già amavo co me una persona di famiglia (era amico fraterno di Giustino Fortunato , mio prozio); nell’estate del 1949 ero ritornato in Italia e poco dopo anche Salvemini ritornò.
Venne a Roma, per un certo periodo, ospite di Ernesto, nella sua abitazione di Via Nomentana; andai a trovarlo e così conobbi Ernesto. Ma i rapporti divennero cordiali e l’amicizia ebbe veramente inizio dopo che io gl’inviai l’estratto di un mio articolo (SylosLabini, 1949), assai impertinente, sui keynesiani, scritto sotto forma immediata e non accademica di una lettera ad un amico dell’America. A Ernesto quell’articolo piacque: mi chiese di andarlo a trovare; e da allora è cominciata una consue tudine di rapporti (che non hanno riguardato solo l’economia ma anche, debbo dire, i miei problemi personali e la mia vita morale), che è finita solo con la sua morte.
Oggi non scriverei quell’articolo in quel modo, ché ho mutato parecchio le mie vedute; ma non mi rammarico di averlo scritto: tutto al contrario. In fondo, debbo ad esso l’inizio dell’amicizia conErnesto. Al quale l’articolo era andato a genio perc hé vi aveva trovato punti di vista simili a quelli che egli era andato maturando riguardo alla teoria keynesiana: una critica alla concezione che considera la domanda, regolata in ultima analisi da elementi subiettivi o psicologici, il fattore fondamentale dell’economia e che trascura quasi completamente i costi; ed una reazione a quella che appariva – e in gran parte era effettivamente – una effimera moda intellettuale (anc he i ministri economici, allora, per giustificare le decisioni più diverse invocavano, non di rado a sproposito, le teorie di Keynes).
Moneta e Credito, vol. 67 n. 265 (2014), 77-86 ©
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