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pslifq1209

Che cosa accomuna gli “uomini di mano” al servizio di Silvio Berlusconi, sia diretto (i Vittorio Feltri, i Maurizio Belpietro, i Fabrizio Cicchitto, i Daniele Capezzone) come di complemento (dagli Antonio Polito agli Ernesto Galli della Loggia), alla falange macedone dei fanatizzati credere-obbedire-combattere che assicurano allo “statista di Arcore” copiose messi di consensi elettorali? Ce lo potrebbe spiegare l’arguzia di Paolo Sylos Labini, magari con una delle sue indimenticabili battute. Citiamo andando a memoria: “Guardando la faccia di Cesare Previti sarei indotto a ritenere la fisiognomica una scienza esatta”. Quella irriducibile fermezza che lo portò a dimettersi, dopo un decennio che ricopriva l’incar ico, dal comitato scientifico del ministero del Bilancio per non dover incrociare il sottosegretario Salvo Lima.

A quattro anni dalla morte, il celebre socio- economista è stato commemorato dalla stampa e in un recente convegno romano.
Molte cose giuste e belle sono state pronunciate in sua memoria. Qui si vorrebbe aggiungerne ancora una, utile per rispondere alla domanda iniziale: la sua riflessione sullo “s p e c i fi c o “ nazionale e – in particolare – sulla prevalente inconsistenza etica dei ceti che popolano l’area mediana della nostra società; di cui così parla nel famoso “Saggio sulle classi sociali”, pubblicato da Laterza nel 1974: “Individui famelici, servili, culturalmente rozzi, che sono molti numerosi fra i ceti medi”. Dunque, il servilismo come tratto forte del carattere nazionale. Un portato storico, probabilmente. Perché, se le piccole borghesie indipendenti furono la spina dorsale delle grandi democrazie europee, gli orgogliosi gruppi sociali che costituivano il nerbo dell’esercito di Oliver Cromwell e condannavano alla decapitazione i tiranni dell’assolutismo, quelle nostrane nascono dal pubblico impiego; non di rado al servizio di un padrone straniero. Magari – per dirla con l’antropologo culturale Carlo Tullio- Altan – come “ser vidorame” della famiglia latifondista. Ecco quindi: da un lato fierezza, dall’altro interiorizzate tendenze alla sottomissione. Che poi – nel caso nostro – si traducono nell’irrefrenabile bisogno di figure forti cui fare riferimento, di “Uomini del destino” in cui annullarsi: dal Cavaliere Benito Mussolini alla sua caricatura ippica brianzola. Non è solo questione di bieco opportunismo calcolatore; aspetto che pure vale per tanti personaggi odierni, che esibiscono attaccato al bavero il cartellino del prezzo. Per i quali – semmai – s’impone il fattore “fa m e l i c i t à  “ indicato da Sylos Labini. Ma non per gli adoratori di Berlusconi, che sono del tutto sinceri nell’esternazione della propria devozione fideistica. Un po’ come una certa religiosità  arcaica nei confronti del Padre Pio di turno. La qual cosa non li rende meno pericolosi nella democrazia sotto minaccia, stante la loro assoluta impermeabilità  alla ragionevolezza critica. Anzi. Comunque, sia per gli uni sia per gli altri, tanto per “i fa m e l i c i “ quanto “i servili” vale il terzo tratto del profilo tracciato da Sylos: la rozzezza culturale. Come ne dà  quotidiana testimonianza Sandro Bondi, ministro per caso – appunto – dei Beni culturali. Conseguenza diretta di siffatta miscela caratteriale è l’inveterata vocazione a saltare sul carro del vincitore (“correre in soccorso della Vittor ia”, avrebbe detto un antico collaboratore de Il Mondo di Mario Pannunzio). E qui si oltrepassa la composizione umana dello schieramento berlusconiano, per coinvolgere anche una larga fetta della sinistra nazionale, che ha interpretato (e praticato) le cosiddette politiche di “Ter – za Via” come sinonimo di collusione. Vulgo “inciucio”. Pure in questo caso, esattamente il contrario di quanto potremmo definire saldezza nei principi, forza di caratt e re . Una sorta di “ideologia nazionale”, contro cui si indirizzavano i giudizi fulminanti di un vecchio intellettuale fuori dal coro; preceduti da una strizzatina d’occhi ironica, reclinando su un lato quella sua testina da tartaruga saggia.

Come in quel 14 settembre 2002 quando, ormai malato, inviava il proprio messaggio alla grande adunata “g irot o n d i n a “ contro l’oscena legge Cirami, tenutasi nella romana piazza San Giovanni: “Il principalemotivo per cui sorgono spontanee manifestazioni come quella di oggi è la debolezza grave con cui in passato è stata svolta l’opposizione. La nostra speranza è che tutti questi sforzi nostri, che sono politici in senso lato, comincino ad avere effetto sull’opposizione parlamentare, che non può trattare l’attuale maggioranza come se fosse un avversario normale e non invece un pericoloso gruppo di potere”. Parole che dovrebbero continuare a far fischiare le orecchie a Pier Luigi Bersani e a quella parte del Partito democratico che ha storto il naso davanti alla manifestazione di questo 5 dicembre, il No B. Day. Per appurare quale ne sia la ragione recondita, la sonda intellettuale di Paolo Sylos Labini sarebbe ancora una volta estremamente preziosa.

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