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Un articolo di Massimo Costa su la Voce di New York del 20 aprile 2015

Ora che anche i difensori più coriacei dell’euro si stanno rendendo conto del fallimento della moneta unica è arrivato il momento di pensare a un’alternativa. Il primo passo potrebbe essere rappresentato dai CCF (Certificati di credito fiscale)

Non credo ci sia ancora in circolazione una persona sana di mente che difenda a spada tratta l’eurosistema, a parte Mario Draghi che deve farlo per contratto. Le persone, i politici, che negli anni ci hanno spiegato che il problema “non era l’euro”, ma, di volta in volta, l’Italia, con la sua mafia-corruzione-burocrazia, oppure Berlusconi, o la Grecia, con la loro proverbiale voglia di far nulla, l’Irlanda, con i suoi errori, la Spagna con la sua bolla immobiliare, etc. etc. oggi ammettono, di fronte all’evidenza, che qualcosa è andato storto, molto storto. In epistemologia queste sono chiamate le “ipotesi secondarie”. Quando una teoria non funziona, per difenderla si può sempre aggiungere un’ipotesi secondaria. Ma quando le ipotesi secondarie sono troppe la teoria da “scientifica” degrada a “metafisica”, cioè non più dimostrabile, né falsificabile. A quel punto o ci credi per fede o la butti via.

Per quanto si cerchi di fare moralismo è evidente che ci deve essere qualcosa di strutturale, di molto forte, un errore gravissimo, per il quale ovviamente non pagherà  mai nessuno. Un fallimento colossale, uno dei più clamorosi nell’intera storia monetaria dell’umanità. Ma i difensori di ieri, oggi hanno un buon argomento: sì, è vero, abbiamo preso l’aereo sbagliato, ma non possiamo più uscirne perché siamo in volo. Che importa se l’ingresso nell’euro è stato un errore clamoroso? Ormai “non c’è più niente da fare”. E se usciamo ci troviamo con un pugno di mosche in mano, a frugare tra l’immondizia, con un’inflazione del 40% e simili amenità, indimostrate ed indimostrabili, ma che sono sufficienti per gettare nel panico la già  spaventata opinione pubblica europea.

In effetti, per amore di verità, nessuno sa come “si esce” dall’euro. Semplicemente non è previsto dai trattati. Ciò non significa che sia “impossibile”. A un certo punto il fatto può sempre superare il diritto. Ma si va – per citare Draghi – in “acque inesplorate”. E, in ogni caso, nessuno può dire che il processo sia “indolore”. Un prezzo da pagare ci sarà, e potrebbe essere anche molto alto.

Perché l’euro non funziona? Cerchiamo di spiegarlo ai nostri lettori in maniera ultrasemplificata. Se un sistema economicamente non omogeneo (come anche gli Usa sono) adotta una moneta unica, allora l’effetto è uguale a quello di bloccare i tassi di cambio tra due Paesi in squilibrio commerciale. Il Paese più forte vedrà  migliorare sempre più la propria bilancia commerciale, diventando ancora più forte. Per un certo tempo il debole potrà  indebitarsi, ma poi, dovendo pagare i debiti, non avrà  più come fare, dovrà  “vendere tutto”, sin anche se stesso. Il sistema può però funzionare a due condizioni (come negli Usa): una è la perfetta mobilità  dei fattori (ad esempio la facilità  di spostamento delle risorse umane), l’altra è la funzione fiscale compensativa dello Stato (o dell’Unione di Stati) che prende “ai ricchi” per redistribuire “ai poveri”, in una parola l’unità  fiscale del sistema. L’assurdo dell’eurozona è che si è voluta creare un’unione monetaria tra Paesi squilibrati in assenza di unione fiscale e con una strutturale barriera, non ultima quella linguistica, alla piena mobilità  dei fattori produttivi. Il risultato è che il sistema fatalmente prima o poi salta.

Le tensioni si sono scatenate sulla Grecia (e su Cipro) perché erano gli anelli più deboli della catena, ma con questo principio, se si andasse fino in fondo, si arriverebbe a deindustrializzare l’Olanda a favore della Germania. Il sistema quindi è intrinsecamente insostenibile. La soluzione prospettata, cioè quella del rigore nei conti pubblici è semplicemente controproducente. L’austerità  riduce anche gli investimenti, e con questi la produttività  dei Paesi che ne sono colpiti, aumentando il divario con i Paesi forti. In pratica, l’unica soluzione è quella di farsi sbranare pezzo a pezzo, sino alla fine. Una “soluzione” evidentemente impossibile.

Un’altra soluzione, perfettamente compatibile con i trattati, è quella di trasformare, poco a poco, la moneta unica, in moneta soltanto comune. La moneta “comune”, come era l’Ecu di una volta, può essere un fattore di forza nel mondo. Quella “unica” un elemento di distruzione dell’economia e, vista l’importanza dell’Europa per il mondo intero, un fattore di distruzione dell’economia mondiale che va fermato al più presto possibile.

Questa soluzione può essere ottenuta per mezzo dell’emissione di Cfc (Certificati di credito fiscale) secondo il manifesto elaborato da Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Luciano Gallino, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini.

Cosa sono i Ccf e perché rappresentano una sorta di “uovo di colombo”? I Certificati di credito fiscale sono in sé titoli, teoricamente di debito, ma di un debito molto “sui generis” che debito non è. Come in un’analoga idea che il sottoscritto e Biagio Bossone avevano elaborato per la sola Sicilia qualche tempo fa, questo “debito” infatti è privo di interessi, a tempo indeterminato ed irredimibile. Esso non dà  dunque ai titolari diritto di pretendere euro dallo Stato ma, ad una certa scadenza (esempio due anni), a poter compensare con esso i propri debiti tributari. Esso quindi nella sostanza non è un vero debito, ma una sorta di moneta complementare parallela all’euro.

Non viene utilizzato per i pagamenti normali (stipendi, pensioni, per quelli lo Stato ce la fa da solo), ma per dare “finanziamenti aggiuntivi al sistema”, iniettando liquidità  con la quale si spezza la spirale dell’austerità, e il suo valore è garantito in parità  con l’euro alla scadenza iniziale della loro possibilità  di utilizzo. Il Ccf quindi inietta liquidità  al sistema senza creare debito e senza violare i trattati o altre norme europee (i suddetti economisti mi hanno chiesto uno studio specifico su questo punto e in qualche modo l’ho portato a termine dimostrando che tale pratica non è affatto vietata da alcuna norma).

Perché i beneficiari dovrebbero accettarlo? Perché un titolo con cui posso, in sostanza, pagare le tasse, è “buono” come la moneta: posso utilizzarlo per le liquidazioni periodiche dell’Iva o per la Tari. E quindi, anche prima della scadenza, esso potrà  essere utilizzato, con uno sconto sul valore nominale che sarà  definito dal mercato, e quindi sopperire alla drammatica mancanza di liquidità  che affligge la domanda interna. Esso non è moneta in senso proprio. Nessuno può imporne l’accettazione ad altri. Ma certamente diventerebbe uno strumento fiduciario accettato da tutti, per la sua estrema fungibilità, e che, al contempo, farebbe crollare la disoccupazione e il debito pubblico in un colpo solo.

I Ccf emancipano i Paesi deboli dalla dittatura del marco e le “riforme” da fare sarebbero a quel punto quelle vere, non la chiusura di scuole e ospedali, o l’abbattimento delle pensioni, o la svendita delle infrastrutture nazionali.

I Ccf non sono “patacones” come quelli che forse va ad emettere un disperato Varoufakis, perché sarebbero garantiti dallo Stato senza al contempo promettere alcuna convertibilità  diretta. Quindi intrinsecamente stabili. Non sarebbero nemmeno emissibili in modo illimitato, perché il “minor gettito” dovuto al loro utilizzo tempererebbe i vantaggi del “maggior gettito” dovuto all’espansione interna.

I Ccf possono essere introdotte anche in modo differenziato e specifico per le aree interne a ritardato sviluppo. L’Italia, oltre al Ccf nazionale, potrebbe emetterne uno specifico per il Sud e dotare le sue due grandi Isole, di analoghi strumenti, nelle proporzioni delle rispettive economie naturalmente. In altri termini, si risolverebbe la sempiterna “Questione meridionale”.

E’ una “moneta fiscale” che raggiunge i propri obiettivi; ha diversi precedenti storici che hanno tutti regolarmente funzionato (come funziona sempre ogni emissione che parta dallo Stato senza debito) ed è anche politicamente “neutrale” rispetto al tema dell’integrazione europea.

Buona per chi crede nell’Europa, perché a quel punto l’euro cesserebbe di essere insostenibile. Buona per chi vuol tornare alle valute nazionali, perché il Ccf potrebbe costituirne il primo nucleo, senza bisogni di salti nel vuoto. “Non buona” per chi pensava di far svendere proprietà  nazionali e diritti delle persone, perché in tal modo non ce n’è più bisogno. Ci sarà  in Italia una forza politica lungimirante in grado di raccogliere questa idea positiva? In fondo converrebbe anche alla politica: finalmente potrebbero dare qualche risposta concreta a qualcuno e non solo chiacchiere a volontà.

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2 thoughts on “I CCF (Certificati di credito fiscale) per uscire dall’euro-trappola

  1. Salve seguo questo blog grazie al fatto che seguo Francesco sulla sua pagina fb.Già avevo notato il manifesto di cui in questione per la semplice somiglianza con un mio ragionamento, da me sviluppato da oltre due anni e che ho cercato, essendo iscritto a Sel, di portare sul tavolo di Tilt e per conseguenza di sbilanciamoci, senza nessuna risposta ma nel mio caso speravo fosse dovuto alla mia totale mancanza di lauree e/o master da far pesare ed invece, come lei dice nell’articolo del 25 aprile non dipende da questo. La differenza tra quello che dite nel manifesto è che la mia proposta, benché sia molto naif, è di applicazione più semplice e diretta e benché sia una proposta mirata a risolvere la crisi italiana (punto troppo in alto? :-)lo fa mediante lo strumento del reddito di cittadinanza, comunque lo si voglia chiamare, e per esteso del welfare. Le mie considerazioni le ho gia esposte a Francesco ma le riporto anche a Lei così come oggi le ho inviate a Grillo sperando, pur con tutti i dubbi, che Grillo possa capire….Spero che lei mi voglia dare un cenno anche solo per dire che la mia teoria non vale niente :-) Per ultimo, vorrei accompagnare quanto sto per dire con un foglio exell molto semplice ma molto esplicativo, dove posso lo posso inviare come allegato? ———————————————————————————-Ciao Bebbe, in occasione della marcia per il reddito di cittadinanza, ti voglio dire, perché penso che la proposta così come fatta dal M5S ma anche da Sel e figuriamoci quella del PD sia estremamente riduttiva, e perché penso possa essere rilanciata in maniera molto più calzante ed esplosiva.
    Di me ti dirò solo che sono un 63enne disoccupato che non si arrende e continua a cercare lavoro senza tregua ma ovviamente con scarsi risultati, dal che mi viene ovviamente un grossissimo interesse per l’argomento. Aggiungo solo che ho confrontato la mia idea con persona molto competente con lungo curriculum in una dei tanti istituti di ricerca dello stato la quale, pur premettendo che tutti i parametri da me congeniati andrebbero controllati e valutati con esattezza, sostiene che l’idea è sostanzialmente corretta.
    Parto dal moltiplicatore del reddito keynesiano, che credo tu ben conosca, ma che in breve può essere espresso, divulgativamente ( che non significa affatto "populisticamente" ), nel fatto che tutte le volte che qualcuno spende i soldi per acquistare una merce o servizio questi soldi saranno di nuovo spesi da chi li ha ricevuti e via discorrendo producendo un movimento di denaro pressoché infinito che sarà di molto superiore alla spesa iniziale, con il limite che ad ogni passaggio parte del denaro invece che diventare una nuova spesa sarà trasformato in tasse e,forse, in risparmio. Il che produce una somma infinita di spese sempre più piccole (perché tasse e risparmio riducono la spesa) che verranno alla fine dell’anno registrate dal famoso PIL.
    La formula base,con la quale in un modo o nell’altro si deve confrontare seppur con mille "se" e "ma" e quisquiglie varie chiunque si trovi a dover calcolare quale "reddito"sarà presumibilmente prodotto da un certo investimento è la seguente:
    reddito prodotto= investimento* 1/((1-c*(1-t))
    dove "c" è la propensione marginale al consumo dove il margine è espresso da 0<c<1 che si legge per "c" compreso tra 0 e 1
    e dove "t" ovvero l’aliquota fiscale anche è espressa per 0<t<1
    Se mi domando cosa succederebbe se si riuscisse a selezionare persone che consumano tutto quello di cui vengono a disporre ovvero se potessi dire "c"= 1
    la mia formula con un paio di passaggi diventerebbe:
    per "c"=1: reddito prodotto = investimento*1/t
    Ma siccome le tasse prodotte dal reddito così ottenuto saranno uguali a
    Nuove tasse= investimento *1/t (ovvero l’investimento prodotto) *t(ovvero l’aliquota fiscale) e semplificando 1/t *t otterrò 1 il che mi dice che nuove tasse=investimento.
    Ovvero più, nel nostro caso, selezionerò persone che consumano tutto il denaro che hanno, più i soldi che gli do mi torneranno sotto forma di tasse.
    Quindi il problema è che per dimostrare che il reddito di cittadinanza non costa nulla o costa pochissimo dovrò trovare il modo per far si che la nostra "c" diventi molto prossima ad 1 evitando ogni dispersione.
    Occorrerà selezionare quindi come destinatari del reddito di cittadinanza persone che non solo non abbiano reddito ma che abbiano una isee convenientemente bassa onde evitare che il nuovo reddito non abbia come risultato una maggiore propensione al risparmio per il reddito famigliare.
    E poi occorre trovare uno strumento di controllo che impedisca, a causa della tendenza all’evasione fiscale, di ridurre l’effetto della moltiplicazione del pane (reddito) e del pesce (le tasse che puzzano sempre)
    Questo strumento, che potremmo chiamare "carta della felicità" o "carta del benessere" o, secondo la detestabile moda di tradurre tutto in inglese, happyness card. Ma questa speciale carta di credito invece che mettere i soldi dentro il conto corrente bancario del venditore di merci o servizi metterà, sempre mediante pos, i soldi dentro al "conto fiscale" del venditore medesimo!!!!
    In questo modo si otterrà la possibilità di:
    Non stampare denaro
    Non uscire dall’euro
    Non chiedere denaro ai simpaticissimi signori della bce dell’fmi e della cee
    Controllare ogni anello della filiera produttiva coinvolta
    Poter dirigere la spesa solo su merci servizi convenienti (niente alcoolici niente generi di lusso etc)
    Decidere che le spese con la carta della felicità siano esenti iva per incrementere l’effetto moltiplicatore
    Incassare le tasse velocissimamente
    Salutare tutti quelli che dicono "non voglio dare i miei soldi ai fannulloni" con il dito medio 

    In particolare, a scopo di esempio, se supponessimo un reddito di mille € al mese a 10.000.000 di persone con una propensione al consumo di 0’8 e con una tassazione del 50% alla fine dell’anno otterremmo lo straordinario risultato di dare 120.000.000.000 € di felicità a 10.000.000 di disoccupati e alle loro famiglie, ma producendo un aumento del pil di ben 240.000.000.000 con tutto le conseguenze ovvie sul rapporto debito-pil spendendo in definitiva "solo" 20.000.000.000 (a cui andrebbero sottratti pero’anche i risparmi dati dai minori interessi sul debito) cioè il doppio dei famosi ottanta euro che non hanno prodotto un solo centesimo.
    Il nostro pil attuale si aggira intorno ai 1600 miliardi€ il debito intorno a 2.200"¦ tre anni per raggingre il pareggio debito/pil ,cinque per arrivare a quota 60%, tutto dimostra che ci tengono in miseria non perché sia inevitabile, visto che la capacità produttiva del singolo lavoratore può, grazie alla tecnologia, soddisfare le esigenze di decine di persone"¦.
    Mettimi a confronto con un avvocato del diavolo e vediamo se riesce a smontare la mia tesi!
    Non sei il mio tipo Beppe, sono iscritto ad un altro partito, ma su questa problematica ti amo, te e tutto il M5s 
    P.S la tabella allegata è molto rudimentale ma da una buona rappresentazione della situazione, buon divertimento.
    Claudio Nesti (Roma)
    clane@inwind.it
    3286756309

  2. Salve seguo questo blog grazie al fatto che seguo Francesco sulla sua pagina fb.Già avevo notato il manifesto di cui in questione per la semplice somiglianza con un mio ragionamento, da me sviluppato da oltre due anni e che ho cercato, essendo iscritto a Sel, di portare sul tavolo di Tilt e per conseguenza di sbilanciamoci, senza nessuna risposta ma nel mio caso speravo fosse dovuto alla mia totale mancanza di lauree e/o master da far pesare ed invece, come lei dice nell’articolo del 25 aprile non dipende da questo. La differenza tra quello che dite nel manifesto è che la mia proposta, benché sia molto naif, è di applicazione più semplice e diretta e benché sia una proposta mirata a risolvere la crisi italiana (punto troppo in alto? :-)lo fa mediante lo strumento del reddito di cittadinanza, comunque lo si voglia chiamare, e per esteso del welfare. Le mie considerazioni le ho gia esposte a Francesco ma le riporto anche a Lei così come oggi le ho inviate a Grillo sperando, pur con tutti i dubbi, che Grillo possa capire….Spero che lei mi voglia dare un cenno anche solo per dire che la mia teoria non vale niente :-) Per ultimo, vorrei accompagnare quanto sto per dire con un foglio exell molto semplice ma molto esplicativo, dove posso lo posso inviare come allegato? ———————————————————————————-Ciao Bebbe, in occasione della marcia per il reddito di cittadinanza, ti voglio dire, perché penso che la proposta così come fatta dal M5S ma anche da Sel e figuriamoci quella del PD sia estremamente riduttiva, e perché penso possa essere rilanciata in maniera molto più calzante ed esplosiva.
    Di me ti dirò solo che sono un 63enne disoccupato che non si arrende e continua a cercare lavoro senza tregua ma ovviamente con scarsi risultati, dal che mi viene ovviamente un grossissimo interesse per l’argomento. Aggiungo solo che ho confrontato la mia idea con persona molto competente con lungo curriculum in una dei tanti istituti di ricerca dello stato la quale, pur premettendo che tutti i parametri da me congeniati andrebbero controllati e valutati con esattezza, sostiene che l’idea è sostanzialmente corretta.
    Parto dal moltiplicatore del reddito keynesiano, che credo tu ben conosca, ma che in breve può essere espresso, divulgativamente ( che non significa affatto "populisticamente" ), nel fatto che tutte le volte che qualcuno spende i soldi per acquistare una merce o servizio questi soldi saranno di nuovo spesi da chi li ha ricevuti e via discorrendo producendo un movimento di denaro pressoché infinito che sarà di molto superiore alla spesa iniziale, con il limite che ad ogni passaggio parte del denaro invece che diventare una nuova spesa sarà trasformato in tasse e,forse, in risparmio. Il che produce una somma infinita di spese sempre più piccole (perché tasse e risparmio riducono la spesa) che verranno alla fine dell’anno registrate dal famoso PIL.
    La formula base,con la quale in un modo o nell’altro si deve confrontare seppur con mille "se" e "ma" e quisquiglie varie chiunque si trovi a dover calcolare quale "reddito"sarà presumibilmente prodotto da un certo investimento è la seguente:
    reddito prodotto= investimento* 1/((1-c*(1-t))
    dove "c" è la propensione marginale al consumo dove il margine è espresso da 0<c<1 che si legge per "c" compreso tra 0 e 1
    e dove "t" ovvero l’aliquota fiscale anche è espressa per 0<t<1
    Se mi domando cosa succederebbe se si riuscisse a selezionare persone che consumano tutto quello di cui vengono a disporre ovvero se potessi dire "c"= 1
    la mia formula con un paio di passaggi diventerebbe:
    per "c"=1: reddito prodotto = investimento*1/t
    Ma siccome le tasse prodotte dal reddito così ottenuto saranno uguali a
    Nuove tasse= investimento *1/t (ovvero l’investimento prodotto) *t(ovvero l’aliquota fiscale) e semplificando 1/t *t otterrò 1 il che mi dice che nuove tasse=investimento.
    Ovvero più, nel nostro caso, selezionerò persone che consumano tutto il denaro che hanno, più i soldi che gli do mi torneranno sotto forma di tasse.
    Quindi il problema è che per dimostrare che il reddito di cittadinanza non costa nulla o costa pochissimo dovrò trovare il modo per far si che la nostra "c" diventi molto prossima ad 1 evitando ogni dispersione.
    Occorrerà selezionare quindi come destinatari del reddito di cittadinanza persone che non solo non abbiano reddito ma che abbiano una isee convenientemente bassa onde evitare che il nuovo reddito non abbia come risultato una maggiore propensione al risparmio per il reddito famigliare.
    E poi occorre trovare uno strumento di controllo che impedisca, a causa della tendenza all’evasione fiscale, di ridurre l’effetto della moltiplicazione del pane (reddito) e del pesce (le tasse che puzzano sempre)
    Questo strumento, che potremmo chiamare "carta della felicità" o "carta del benessere" o, secondo la detestabile moda di tradurre tutto in inglese, happyness card. Ma questa speciale carta di credito invece che mettere i soldi dentro il conto corrente bancario del venditore di merci o servizi metterà, sempre mediante pos, i soldi dentro al "conto fiscale" del venditore medesimo!!!!
    In questo modo si otterrà la possibilità di:
    Non stampare denaro
    Non uscire dall’euro
    Non chiedere denaro ai simpaticissimi signori della bce dell’fmi e della cee
    Controllare ogni anello della filiera produttiva coinvolta
    Poter dirigere la spesa solo su merci servizi convenienti (niente alcoolici niente generi di lusso etc)
    Decidere che le spese con la carta della felicità siano esenti iva per incrementere l’effetto moltiplicatore
    Incassare le tasse velocissimamente
    Salutare tutti quelli che dicono "non voglio dare i miei soldi ai fannulloni" con il dito medio 

    In particolare, a scopo di esempio, se supponessimo un reddito di mille € al mese a 10.000.000 di persone con una propensione al consumo di 0’8 e con una tassazione del 50% alla fine dell’anno otterremmo lo straordinario risultato di dare 120.000.000.000 € di felicità a 10.000.000 di disoccupati e alle loro famiglie, ma producendo un aumento del pil di ben 240.000.000.000 con tutto le conseguenze ovvie sul rapporto debito-pil spendendo in definitiva "solo" 20.000.000.000 (a cui andrebbero sottratti pero’anche i risparmi dati dai minori interessi sul debito) cioè il doppio dei famosi ottanta euro che non hanno prodotto un solo centesimo.
    Il nostro pil attuale si aggira intorno ai 1600 miliardi€ il debito intorno a 2.200"¦ tre anni per raggingre il pareggio debito/pil ,cinque per arrivare a quota 60%, tutto dimostra che ci tengono in miseria non perché sia inevitabile, visto che la capacità produttiva del singolo lavoratore può, grazie alla tecnologia, soddisfare le esigenze di decine di persone"¦.
    Mettimi a confronto con un avvocato del diavolo e vediamo se riesce a smontare la mia tesi!

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