Sylos Labini: un gigante in un Paese di nani
di Giovanni LaTorre
Il 7 dicembre si è spento a
Roma il professor Paolo
Sylos Labini (nella foto),
economista insigne. Il suo
contributo alla scienza economica
ha avuto rilevanza internazionale.
Il suo saggio Oligopolio e
progresso tecnico è stato uno
dei pochi testi di economia,
scritto da un autore italiano,
tradotto e studiato in tutto il
mondo. Grande è stata la sua
passione civile. Sylos Labini è
stato un intellettuale rigoroso,
erede di quella grande tradizione
culturale, civile e politica,
che oggi si definirebbe di
matrice “liberal”, caratterizzata
in Italia da esponenti come
Gobetti, Salvemini, Rossi,
Spinelli, i fratelli Rosselli,
Lombardi. Un filone di pensiero
e di azione politica che si
oppose al fascismo, contribuì
significativamente alla Resistenza
e, restituito il Paese alla
democrazia, trovò espressione
e si distinse prima nel
Partito d’Azione, poi nel Partito
Socialista Italiano, di cui
costituì una delle anime più
nobili.
Il mio personale ricordo di
Paolo Sylos Labini risale al
1964, anno in cui frequentai,
da matricola, il suo corso di
Istituzioni di Economia Politica
all’Università di Roma (oggi
La Sapienza). Le sue lezioni
erano affascinanti. Labini era
così bravo da riuscire a far innamorare
tutti della triste disciplina
economica; triste
perché tratta della scarsezza
delle risorse rispetto alla illimitatezza
dei bisogni. Anche
l’esame che sostenni con lui
fu molto gratificante: presi
27, che allora era un gran voto.
Pochi anni dopo essermi
laureato ebbi la fortuna di incontrarlo
di nuovo all’Università
della Calabria. Era il
1972, lui era membro del Comitato
Ordinatore della Facoltà
di Scienze Economiche e
Sociali (oggi Facoltà di Economia),
insieme ad Andreatta
(che era anche Rettore dell’Università )
e Vanzetti. Io ero
un neo – assistente della stessa
Facoltà, ritornato in Calabria
dopo otto anni per partecipare
a quella che veniva
proposta a noi giovani come
una grande sfida per modernizzare
la nostra Regione.
Questo secondo incontro con
Sylos Labini fu ancora più stimolante
del primo, perché vivevo
la felice esperienza di essere
parte di un’iniziativa veramente
ambiziosa. Non si
voleva, soltanto, far nascere
una nuova Università, ma introdurre
anche sperimentazioni
rivoluzionarie per il sistema
universitario italiano
di quel tempo: il Campus, cioè
l’Università Residenziale, i
Dipartimenti Scientifici, il
numero chiuso nelle iscrizioni
con il privilegio per le classi
meno abbienti, tutti elementi
di grande novità che
resero, e per molti versi rendono,
la storia dell’Università
della Calabria unica e straordinaria.
Purtroppo, la sua esperienza
in Calabria ebbe un epilogo
drammatico per una persona
del suo spessore etico. Egli ebbe
l’ardire di opporre una fiera
resistenza rispetto al tentativo,
da parte della politica calabrese
d’allora, di condizionare
l’autonomia dell’istituzione
universitaria, mediante
il coinvolgimento, nella funzione
docente, di pur validi
professionisti cosentini. Per
questa ragione e per aver negato
un insegnamento all’avvocato
Luigi Gullo, allora politicamente
legato a Giacomo
Mancini, fu addirittura implicato
in un processo penale.
Fu un’esperienza che lo segnò
molto e che visse come
un sopruso del potere politico
nei confronti di una persona
per bene. Questa vicenda lo
allontanò per oltre un ventennio,
non solo fisicamente, dalla
Calabria. Solo nel febbraio
2001, in occasione dell’inaugurazione
della Biblioteca
Economico – Sociale “Tarantelli”,
con la promessa che gli
avrei evitato incontri “spiacevoli”
e con la presenza di un
suo vecchio amico, Carlo Azeglio
Ciampi, riuscii a farlo
tornare nella Sua Università.
Apprezzò molto il lavoro fatto,
in prosecuzione del suo
originario impegno, per costruire
sia nella parte materiale
che in quella, più difficile,
immateriale l’Università
della Calabria. Ci raccomandò
di coltivare l’eccellenza nella
didattica e nella ricerca, senza
eccezioni e senza compromessi.
Ci raccomandò, inoltre,
di preservare l’autonomia
dell’Università, come presidio,
peraltro costituzionalmente
garantito, della libertà
di pensiero. Oggi, la sua morte
ci lascia attoniti e addolorati.
L’opinione espressa da un
suo autorevole allievo, Michele
Salvati, sintetizza significativamente
la realtà: «E’ scomparso
un gigante in un Paese
di nani».
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