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Questo articolo è stato scritto in memoria di Paolo
Sylos Labini a cui l’ Università  La Sapienza di Roma
ha dedicato, il 16 ottobre, una giornata per ricordare
“L’ economista e il cittadino”.
Voglio ricordarlo anch’ io oggi, nel giorno in cui si
torna a parlare del conflitto di interessi
nell’ incarnazione grande e pericolosa di Silvio
Berlusconi. E’ giusto farlo, perché , incurante delle
alzate di spalle di alcuni («il conflitto di interessi non
interessa nessuno») o delle rassicurazioni di altri («il
conflitto di interessi non è così importante, perché
farne un’ ossessione») Sylos Labini non ha mai
smesso di tenere lo scandalo morale, politico,
economico del conflitto di interessi al centro della sua
attenzione e della nostra, nei suoi discorsi, nelle sue
lezioni, nei suoi articoli per questo giornale, lui che ha
formato la maggior parte degli economisti del nostro
Paese.
Ma oggi è anche il giorno che rivendica l’ impegno e la verità  di Sylos
Labini, «economista e cittadino» (come dice l’ annuncio
dell’ Università  La Sapienza). Infatti è il giorno in cui, di fronte al
progetto di legge Gentiloni che cancella la “legge Gasparri” sulle
Comunicazioni, e riconduce l’ Italia tra i Paesi normali – in cui non
diventano legge gli interessi privati e personali di chi governa – due
protagonisti di quella legge confessano, finalmente, davanti a tutti, e lo
fanno senza esitare. Berlusconi dice testualmente: «Non ci credo,
sarebbe un atto di banditismo. E non sarebbe più democrazia quel
Paese in cui una parte politica intendesse colpire l’ avversario
attraverso le sue aziende e le sue proprietà  private. Sarebbe
banditismo politico». Propongo di trascurare la parte orwelliana di
questa interessante dichiarazione, dove si dice che impedire a
qualcuno di violare le leggi e le regole democratiche sarebbe un atto di
banditismo che nega la democrazia. Vale la pena invece di
considerare la parte «colpire l’ avversario attraverso le sue aziende e
le sue proprietà  private». E’ un peccato non potersi godere questa frase
insieme a Sylos Labini, quel signore ostinato, quel professore
integerrimo che non ha mai smesso di gridare «al ladro!».
Certo, veniva zittito da persone politicamente prudenti, quando
descriveva l’ immenso vantaggio che deriva a un proprietario di
aziende che diventa governo e si fa fare le leggi secondo il suo
interesse privato. Per esempio, se si tratta di televisioni, si fa legiferare
come crede il numero delle reti che desidera. E se si tratta di un
pubblicitario si fa definire secondo la sua convenienza e il suo profitto il
tetto della pubblicità  che gli fa comodo avere.
Osservate il senso di oltraggio con cui Berlusconi non esita a definire
se stesso «l’ avversario politico che possiede aziende e proprietà 
private» che, secondo lui, questa legge dovrebbe colpire. Eppure ci
aveva detto in tutte le televisioni per lui disponibili (tutte) con
persuasività  e con furore, nei discorsi politici e nelle interviste senza
seconda domanda, che lui ormai si era staccato, che l’ azienda è dei
figli, che lui non ci mette piede, tanto che aveva persino dato le
dimissioni da presidente del Milan per incompatibilità  con la carica di
primo ministro.
Non c’ è dubbio, siamo in presenza di una confessione. «Io sono
Mediaset» proclama finalmente col tono di un’ opera lirica Berlusconi
«colpendo Mediaset colpite me».
E’ ovviamente una clamorosa dichiarazione anche letta al rovescio:
«Quando governo io governa Mediaset. E quando faccio opposizione
io è Mediaset che scende in campo, perché Mediaset sono io». E’ una
descrizione da manuale del conflitto di interessi. Un tale possiede una
enorme azienda di comunicazioni.
Facendo finta che non esistano impedimenti e ostacoli giuridici (a
cominciare dalle legge del 1959 sulla ineleggibilità  dei titolari di
concessioni dello Stato, perché governando darebbero le concessioni
a se stessi) un tale che possiede tutte le televisioni private di un Paese
diventa, indisturbato, primo ministro. E da primo ministro non solo si
autorizza tutto da solo, ma studia il suo caso e fa tutto, fino ai dettagli,
attraverso apposite leggi, nell’ interesse della sua azienda.
***
Entra in campo, senza esitazione e – si deve supporre – mal consigliato
dai suoi legali, l’ ex ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri.
Ricordate? Reagiva con furore all’ accusa, piuttosto ovvia, di avere
scritto una legge a vantaggio di un primo ministro proprietario di tutta la
televisione privata italiana, ma anche, per funzione ministeriale,
controllore dettagliato e potente della televisione pubblica (che, deve
essere usata ad personam ma tenuta a bada perché non tolga
proventi al lato privato della stessa persona).
Adesso Gasparri dice, senza pensarci due volte, e creando la prova
perfetta per i suoi detrattori di allora: «E’ una legge vendetta. Di fatto
danneggia le aziende televisive italiane e favorisce la colonizzazione
del nostro sistema-Paese».
Dunque vediamo. Le “aziende televisive italiane” sono solo quelle di
Berlusconi (le poche briciole che restano fuori da Mediaset non hanno
notato alcun danno da una legge che apre il mercato). Dunque le
aziende di Berlusconi risultano danneggiate dall’ aver cancellato
alcune parti della legge Gasparri. Vuol dire che la Legge Gasparri
recava vantaggio alle “aziende televisive italiane” che, come abbiamo
visto, sono quelle di Berlusconi. Per chiarezza Gasparri aggiunge:
«Alcuni aspetti del ddl Gentiloni sono una chiara ritorsione verso
Mediaset (finalmente non parla più di “aziende televisive italiane” ma
va al sodo, ndr) e non vanno verso la crescita». Interessante
affermazione. La crescita di chi? La concatenazione delle frasi è
chiara. Come vi permettete di toccare una legge che favorisce la
crescita di Berlusconi? Infatti una riga più sopra si dice in chiaro
«Mediaset».
Il pensiero dell’ ex ministro Gasparri diventa ancora più esplicito e
imbarazzante quando si lancia contro l’ abbassamento del tetto
pubblicitario. L’ intera ricchezza monopolistica della Mediaset di
governo si basava sulla libertà  di stabilire il proprio tetto pubblicitario
(ovvero quanta pubblicità  posso avere, a chi posso portarla via e
quanti soldi guadagno in più). Il manager Berlusconi voleva migliorare i
bilanci. Si dava il caso che il proprietario Berlusconi fosse anche il
primo ministro Berlusconi e il padrone di una maggioranza che ha
sempre votato alla cieca.
Ci voleva un ministro disposto a scrivere che il tetto pubblicitario si
calcola su SIC, una notevole invenzione che vuol dire “Sistema di
comunicazione integrato” ovvero tutto ciò che scorre nell’ universo,
compresi Sms e messaggi sui telefonini. Misurata rispetto all’ universo
la percentuale di pubblicità  del tuo capo-presidente-padrone-manager
sembra piccola, persino più piccola di prima, dopo la trovata della
legge. In realtà  si mangia tutto e produce nuova ricchezza. Per chi?
Non certo per il Paese, anche se tutto avviene a cura di chi governa il
Paese. Ma tutto questo è il conflitto di interessi, bellezza.
E infatti ecco Gasparri che dice: «E’ chiaro che questa legge vuole
distruggere ricchezza e attuare vendetta politica» se è vendetta politica
riguarda Berlusconi, come lo stesso Berlusconi ci ha appena detto. E
allora è della ricchezza di Berlusconi che si era occupata la legge che
adesso, fra tante grida e invettive, viene abrogata perché era un po’
troppo.
***
Ma la festa continua. Ecco a voi il senatore Schifani. «Il governo Prodi,
con la cosidetta riforma Gentiloni vuole togliere una rete a Mediaset. E’
un gravissimo atto di inciviltà  legislativa. Attaccare il leader
dell’ opposizione Silvio Berlusconi colpendo le sue aziende è un fatto
inqualificabile. Si vuole aggredire Silvio Berlusconi. Non lo
permetteremo. Ci batteremo per difendere i principi fondanti della
nostra Repubblica».
A nessuno di noi risultava che gli interessi privati di uno che va in
politica per migliorare i suoi risultati aziendali (e facendo rimuovere
ogni limite alle sue fonti di profitto attraverso apposita legge) fosse
principio fondante della nostra Repubblica. E che proporre una legge di
ritorno alla normalità  (in cui cioè, affari e politica sono separati e
viaggiano su piani diversi senza permettere che una sola persona sia il
benefattore e il beneficiato, il concedente e il concessionario, il
legislatore e colui che gode dei benefici di quella legge) fosse «inciviltà 
legislativa». Non sarebbe più logico e anche psicologicamente più
equilibrato dire il contrario e cioè che è inciviltà  organizzativa unire le
forze di una intera coalizione per favorire la proprietà  personale del
primo ministro?
Se la descrizione esemplare, monumentale del conflitto di interessi non
è ancora abbastanza chiara, ci aiuta il presidente della Commissione
di Vigilanza Rai che, direte, dovrebbe avere a cuore la Rai. Niente
affatto. Landolfi sa benissimo di quali interessi si parla, ed è deciso a
difenderli (anche se non è chiaro perché , considerate almeno le
esigente formali della sua posizione). Comunque dice: «E’ una legge
contra personam».
Poiché sappiamo chi è la persona, dobbiamo dirgli grazie due volte.
Primo, perché ci aiuta a ricordare (ci sono tanti smemorati anche tra
noi) che ci sono state, sotto Berlusconi, per la prima volta nella storia
della Repubblica, leggi “ad personam”. Secondo, perché dichiarando
«contra personam» una legge in cui non si parla mai di Berlusconi, ma
si parla di tutte le televisioni in Italia, si certifica a) che Berlusconi e
tutto l’universo televisivo si identificano, b) che Mediaset è un soggetto
politico e c) che chi tocca Mediaset (nel senso di limitare i vantaggi che
erano stati donati dalla legge Gasparri) fomenta la lotta politica.
Conferma, con candore sorprendente Calderoli: «E’ l’ennesima prova di
regime, una maggioranza che vuole togliere voce alla opposizione».
Ma allora avevamo ragione noi quando, nelle famose 500 accuse de
l’Unità  che Berlusconi sbandierava come lesa maestà, dicevamo che
Mediaset era il suo strumento politico, aggravato dal fatto che il
padrone del settore privato controllava e dirigeva anche il settore
pubblico.
C’è un passaggio di Elisabetta Gardini, la cui voce non è più così
chiara nel coro affannato ed esasperato di voci del padrone che
abbiamo appena citato, ma che forse vale la pena di ascoltare:
«Sconcerta la posizione di Serventi Longhi sul ddl Gentiloni. Il
segretario della Federazione Stampa Italiana si disinteressa totalmente
dei posti di lavoro a rischio».
Dunque ascoltate bene: se sfiorando il conflitto di interessi si toccano
posti di lavoro, vuol dire che quei posti di lavoro non sono il mercato,
ma il frutto del conflitto di interessi realizzato attraverso l’incrocio
improprio e illegale del pubblico e del privato. E’, ovviamente, un
concetto un po’ folle. Ma era doveroso riportare la autorevole
dichiarazione della autorevole portavoce che, in televisione, è
sembrata non sapere che cosa fosse la Consob.
Esiste anche il lato umano della vicenda. Sandro Bondi, che il pubblico
de l’Unità  ben conosce, annuncia lo sciopero della fame. Si tratta di
questo. Sandro Bondi non toccherà  cibo fino a quando saranno in
pericolo le ricchezze di Silvio Berlusconi. Il fatto non ha precedenti
nella storia: un cittadino fa lo sciopero della fame per difendere uno dei
quattro o cinque colossi mediatici del mondo, e il quattordicesimo
uomo più ricco del globo. La sua motivazione è nobile, ma con qualche
contraddizione.
Leggiamola: «Contro l’assuefazione agli strappi della legalità  e delle
regole fondamentali della democrazia da parte di questo governo, dalla
conquista del potere in modo dubbio alla occupazione e spartizione di
tutti i vertici delle istituzioni alla distruzione sistematica di tutte le
riforme varate dal governo precedente, al connubio impressionante tra
affari e politica fino alla persecuzione e vendetta nei confronti del
leader della opposizione». E’ la descrizione dettagliata del periodo di
governo di Berlusconi. Con una curiosa conclusione. Se ciò che Bondi
dice è vero, morirà  di fame, perché ha descritto una situazione da
rivoluzione. Se non è vero e forse il Paese non è pronto a muoversi
con lui vivrà  nel ridicolo.
Ma c’è di più. Ecco: «E’ in gioco la tutela doverosa di una azienda
italiana quotata in borsa e sopratutto il futuro della nostra democrazia».
Serve altro per sapere, in modo chiaro, netto e in tutto il suo
gigantesco pericolo, che cosa è il conflitto di interessi, qualcosa che
autorizza a giocare tutto, di un Paese, pur di difendere uno e la sua
ricchezza personale?
Ecco perché è doveroso dedicare questa pagina, oggi, a Paolo Sylos
Labini, il mite e inflessibile professore che non ha mai smesso di
insegnare come stanno le cose nell’ Italia malata di Berlusconi. Eccole
qua. Con parole loro.

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