
di Sergio Ferrari
Il Doc. relativo al Programma Nazionale per la Ricerca (PNR) emesso recentemente dal MIUR si apre con un capitolo introduttivo dove a fronte del riconoscimento del ruolo centrale della ricerca e dell’innovazione ai fini di assicurarare uno sviluppo sostenibile al paese, si indicano i pregi e i difetti che queste attività incontrano attualmente nel caso italiano, osservando giustamente, che per poter valorizzare i pregi e superare i difetti, occorre conoscerli.
Secondo il PNR I nostri limiti consistono nel fatto che “investiamo in ricerca ancora molto meno dei nostri partner e dei paesi con i quali competiamo in campo economico in termini sia di risorse pubbliche, sia sopratutto, di risorse private“, inoltre “abbiamo pochi ricercatori “¦..” e, infine “siamo ancora poco capaci di assegnare priorità alle iniziative di ricerca….”
Tuttavia abbiamo anche punti di forza sui quali puntare: ” I ricercatiori italiani “¦..sanno competere ed eccellere sia nel numero e nella qualità delle pubblicazioni scientifiche, sia nel vincere i bandi internazionali “¦. come quelli dell’European Research Council …”
In conclusione “L’investimento del MIUR per il PNR “¦… è di circa 2,5 miliardi di euro nei primi trte anni che si aggiungono al finanziamento del MIUR destinati a Università ed Enti Pubblici di Ricerca, pari a 8 miliardi ogni anno“. Questo investimento diventerebbe quindi, pari a circa 8,8 miliardi all’anno a fronte dei 21 miliardi circa di spesa totale in R&S del paese.
Con queste premesse il doc relativo al PNR definisce, oltre ad una tassonomia della ricerca applicata definita in dodici aree, una programmazione del Piano secondo sei programmi d’intervento che è opportuno richiamare testualmente:
1– l’internazionalizzazione, il coordinamento e l’integrazione delle iniziative nazionali con quelle europee e globali:
2 – dare centralità all’investimento nel capitale umano:
3 – dare sostegno selettivo alle infrastrutture di ricerca ;
4 – la collaborazione publico-privato come leva straordinaria per la ricerca e l’innovazione.
5 – il Mezzogiorno
6 – l’efficienza e la qualità della spesa
Quello che ancora manca – come viene detto sempre nella presentazione del PNR – è “l’esistenza di una governance del sistema nazionale della ricerca“ che assicuri il coordinamento di tutti i Ministeri coinvolti al fine di definire una politica unitaria della ricerca che sia realmente coordinata con le altre politiche nazionali.” Inoltre, sempre stando al testo di questo PNR, manca ancora “la riforma dello status e del contratto dei ricercatori pubblici.…”.
Si tratta di due “mancanze” la cui eliminazione dovrebbero precedere, anche sul piano puramente logico, la possibilità stessa di definire un Piano Nazionale per la Ricerca. Senza aver colmato questi “buchi” il dibattito intorno a questo documento rappresenta, nella migliore delle ipotesi, un contributo ad un dibattito del tutto aperto.
Questa osservazione si aggiunge alle molteplici perplessità che nascono dalla lettura di questo testo: non si capisce, ad esempio come si pretenda di parlare di “innovazione” ignorando, evidentemente l’esistenza di capitoli di spesa come quelli che vanno sotto la voce di “investimenti a rischio” che richiamano le capacità di intervenire nelle fasi finali del percorso innovativo: se in materia di spesa in R&S rispetto al PIL i dati del nostro Paese ci dicono che esiste un rapporto del 50 % circa rispetto alla spesa dei paesi nostri partner, nel caso degli investimenti a rischio questo rapporto non supera il 20%; una situazione che non viene quasi mai citata probabilmente perché si tratta di un dato “scomodo” in quanto esprime molto chiaramente l’impossibilità del nostro sistema industriale di tenere il passo con gli andamenti di una economia della conoscenza. Anche per questi motivi sarebbe necessario poter attribuire agli 800.000 euro all’anno di crescita del finanziamento pubblico, la capacità di superare i ritardi accumulati da alcuni lustri di tagli almeno nelle dotazioni finanziarie, strumentali e di personale. Una indagine su questi aspetti che condizionano l’attuale funzionamento delle strutture pubbliche di ricerca sarebbe quanto mai necessaria per procedere verso un ricostruzione del Sistema.
Spiegare o tentare di spiegare le cause di quei nostri “difetti” sarebbe, peraltro, del tutto necessario per tentare di definire gli interventi capaci di correggerli.
Passando, quindi, dalla Introduzione al Capitolo 1.1 del PNR intitolato “Il posizionamento internazionale della ricerca italiana: fattori di successo e debolezze“, si riprendono i temi già declinati nell’Introduzione e in particolare la questione del basso rapporto tra spesa per la ricerca e il PIL e del basso numero di addetti alla ricerca, tuttavia senza nemmeno una analisi distinta tra settore pubblico e settore privato e, in particolare, senza una analisi temporale che avrebbe evidenziato come quel difetto si sia progressivamente accresciuto nell’arco degli ultimi decenni. Tuttavia dopo questi “vuoti” statistici, la questione che crea le maggiori perplessità consiste nel fatto che quei fattori negativi vengono in qualche modo citati ma rimangono senza una spiegazione, senza, quindi che si sappia quale siano le cause e quindi i possibili interventi correttivi. Quei difetti, come è noto, si riscontrano sia nel settore pubblico sia. ancorché accentuati, nel settore privato. Ci dovrebbe essere, quindi, una componente pubblica e una componente privata da correggere, senza escludere l’esistenza di una componente comune dal momento che, forse non è un caso, se tra le cause il PNR ha citato anche una scarsa capacità di assegnare delle priorità alle attività di ricerca.
Per sopperire a questi limiti di elaborazione del PNR non è necessario un grande sforzo: le cause dei difetti della componente pubblica stanno evidentemente nelle politiche da tempo adottate nei confronti della spesa pubblica, che come tale deve essere ridotta, come in effetti è stato ampiamente attuato con i provvedimenti di turn-over e di riduzione degli stanziamenti agli Enti pubblici di Ricerca, anche all’insegna della battuta – di fatto molto condivisa – secondo la quale “con la cultura non si mangia”. Se invece si analizzasse l’andamento della spesa in ricerca e del numero di addetti alla ricerca nel Sistema delle imprese private, cosa che non compare nel PNR, si rileverebbe non solo il differenziale con i sistemi industriali degli altri Paesi ma anche l’esistenza di un divario crescente nel tempo. Questione ovviamente non marginale. Inoltre se si esaminassero le indagini condotte per verificare gli effetti delle agevolazioni finanziarie per la spesa in ricerca già attuate nel tempo a favore delle imprese, si rileverebbe l’inefficacia di tali interventi, senza che tuttavia se ne abbia un riscontro nel nostro PNR. Poiché la questione è già stata trattata in molte occasioni ed è, oltre a tutto, riconducibile ad una spiegazione logica evidente, sarà sufficiente in questa occasione ricordare che la spesa in ricerca da parte delle imprese private è dettata in prima istanza da due caratteristiche: la specializzazione produttiva e la struttura dimensionale. Correggere questi difetti vorrebbe dire intervenire su questi elementi strutturali del sistema industriale. Purtroppo nel PNR di tutto questo non c’è traccia. Non solo ma ci si richiama ad una particolare statistica che dovrebbe indicare l’entità, almeno quantitativa, delle innovazioni attuate dalle pmi e secondo la quale tra i Paesi europei, l’Italia sarebbe, insieme alla Spagna, in testa. Peccato che queste statistiche sono state ampiamente criticate come poco attendibili in quanto sono ricavate da indagini del tipo “domanadare al macellaio se la carna è fresca”. Per quanto riguarda la questione dei pregi offerti dal sistema della ricerca italiano – a parte la statistica sopra citata – il PNR si riferisce non al Sistema in quanto tale ma essenzialmente alla doti dei nostri ricercatori con un riferimento, francamente eccessivo, al tema delle pubblicazioni in termini tali che farebbero girare nella tomba sia Einstein che Sraffa.
E’ vero che nel PNR esistono anche altri capitoli tra i quali uno intitolato Cooperazione pubblico-privato e ricerca industriale e uno Mezzogiorno, ma ancor più in questi casi riflessioni essenziali come quelle offerta da un Sylos Labini “¦… apparirebbero stratosferiche. Il livello di conservatorismo di quei nostri “difetti” viene coperto dall’utilizzo di un linguaggio che esalta le sproporzioni con il livello di un impegno finanziario preventivo pari a 2,5 miliardi complessivamente.
Appaiono evidenti i limiti di un Progetto che partendo dalle problematiche dello sviluppo di un paese in crisi quale l’Italia, vorrebbe costruire una politica economica di sviluppo e di superamento di quella crisi, senza nemmeno conoscere e interpretare i fenomeni sottesi. Nemmeno quelli connessi alle tematiche della ricerca-sviluppo-innovazione che pretende di assume in proprio come attore politico centrale. Un limite che diventa pesante in capitoli come quello dedicato al Mezzogiorno dove la questione sociale, incominciando dall’occupazione, è notoriamente drammatica e dove l’uscita dal sistema locale delle migliori professionalità rappresenta attualmente e per un tempo non definito la “soluzione” dei problemi del Mezzogiorno. Trattare il Mezzogiorno – come viene fatto nel PNR – come se questa non fosse la realtà da affrontare, certo non solo con interventi in materia di ricerca e formazione, ma con politiche che dovrebbero integrare esplicitamente le politiche economiche, industriali sociali e culturali, che ovviamente esulano da un doc. come il PNR – è una questione che non può essere sottaciuta in omaggio ad un documento non solo settoriale ma anche “conservativo” nel senso deteriore del termine se solo si tiene presente che pur all’interno di dimensioni finanziarie generalmente molto insufficienti, sui 2,5 miliardi totali il PNR dedica 436 milioni al Mezzogiorno, confermando il progressivo abbandono del soggetto in questione.
Una ulteriore osservazione generale – oltre a quelle numerose di dettaglio – deve essere posta alla nostra attenzione nel momento che s’intende affrontare una tematica dall’impegnativo nome di Piano Nazionale per la Ricerca: affrontare in questi anni una strategia che tenti di utilizzare lo strumento della conoscenza scientifica e tecnologica ai fini di preordinare le gestioni del nostro prossimo sviluppo implica la necessità di disporre di uno scenario temporale almeno di medio-ungo periodo. Le questioni sottese a questa logica chiamano in causa, quindi, la conoscenza e le previsione di determinati problemi che qui, alcuni, verranno solo accennati: lo sviluppo delle conoscenze scientifiche ha determinato un cambiamento di valore dello strumento “ricerca” dal momento che si sta sviluppando una capacità, sulla base dell’accumulo di queste conoscenze, tale da consentire di programmare l’innovazione, con conseguenze sul piano della responsabilità pubblica che dovrebbero essere affrontate per tempo; la globalizzazione tende ad avvicinare la competitività tra paesi anche lontani con effetti sulla riduzione dell”occupazione che tenderanno ad accrescersi, sollecitando una questione di distribuzione della ricchezza e degli orari di lavoro, già attualmente evidente. In definitiva in una analisi dinamica quale dovrebbe essere implicita in una documento sullo sviluppo delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, sarebbe necessario tenere presente i conseguenti mutamenti strutturali che, come ci ricorda Sylos Labini, influenzano la composizione delle produzione e dell’occupazione e quindi degli investimenti nella tecnologia, nella formazione e nelle conoscenze scientifiche.
In conclusione è necessario affermare che questo PNR ha il pregio, forse, di assicurare, a parole, una buona presenza al ruolo essenziale della ricerca di base – anche se su questo aspetto sarebbe necessaria una rilettura alla luce delle osservazioni sollevate dalla sen.ce Cattaneo a proposito della pesanti anomalie offerte dal Progetto Human Technopole, che comunque non sembra trovare spazio in questo PNR, disponendo di suoi canali di finanziamento al di fuori di ogni regola e di ogni decenza. Con questa osservazione non si risolvono, tuttavia gli interrogativi sollevati ma, al contrario si estendono anche a documenti quale il PNR, se non altro per sapere di che cosa si parla. Resta comunque evidente che un tale PNR non può servire per accennare alle questioni della nostra competitività, della qualità culturale e sociale della nostra società, ma tanto meno può pretendere di dare indicazioni ai fini dello sviluppo della nostra competitività tecnologica e della qualità del nostro sviluppo. Compilare un documento in materia di investimenti e politiche pubbliche nel settore della ricerca scientifica è certamente un compito di grande complessità, per il quale occorre disporre di risorse e competenze di grande spessore. Se poi da questo scenario già di per sé complesso si pretende di estendere la programmazione ai connessi aspetti relativi allo sviluppo economico, sociale e culturale del paese, allora l’esistenza o meno di precondizioni politiche diventa essenziale. Attualmente nel nostro paese queste precondizioni non sembrano esistere e la stessa strumentazione tecnica e analitica è stata da tempo eliminata. Questo testo di PNR ne è la conferma.
Da questo documento vanno però colte e sollecitate le questioni quali la definizione del nuovo contratto di lavoro per il settore della ricerca (fermo da circa otto anni !), l’eliminazione delle politiche di riduzione dei finanziamenti a favore della ricerca pubblica con i ben noti effetti negativi sulle dotazioni strumentali e sulle disponibilità delle risorse umane, nonché l’eliminazione della burocrazia nella gestione delle strutture e delle attività di ricerca, gestioni che rappresentano sovente la lunga mano di un mediocre sottogoverno in aree dove è del tutto necessario evitare di introdurre “valori” eterogenei. Sarebbero tutti risultati comunque utili e se anche solamente questi potessero essere i risultati concreti, ci sarebbe di che essere soddisfatti.
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