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Paolo Sylos Labini (1920-2005) è stato uno dei maggiori economisti del XX secolo, e una persona
straordinariamente ricca di saggezza e calore umano. Anche chi l’ha incontrato solo per un’ora ne è
rimasto affascinato; i suoi allievi hanno verso di lui un debito che va ben oltre l’insegnamento
dell’economia.
Dopo la laurea in giurisprudenza all’Università  di Roma nel luglio 1942, con una tesi sugli
effetti economici delle invenzioni, alla conclusione della guerra è tra i primi italiani ad approfondire
gli studi all’estero, con una borsa Fulbright, prima a Chicago e poi all’Università  di Harvard con
Schumpeter; trascorre anche un periodo nella Cambridge inglese degli allievi diretti di Keynes, ai
quali però preferisce lo scetticismo di Dennis Robertson, suo supervisore, e l’attenzione per
l’economia classica di Piero Sraffa, cui resterà  legato da una grande stima reciproca.
Fin dal lavoro per la tesi di laurea Sylos Labini rimane convinto che la teoria tradizionale
(marginalista) del valore e della distribuzione, basata com’è su una nozione statica di equilibrio, ha
ben poco da dire sugli aspetti più importanti della vita economica moderna, lo sviluppo (che va
distinto dalla semplice crescita quantitativa) e il cambiamento tecnologico. Per questo motivo
decide di studiare con Schumpeter, uno dei pochi economisti che si erano occupati di tali problemi;
per lo stesso motivo studia a fondo gli economisti classici, in particolare – ma non solo – Smith,
Ricardo e Marx.
In Italia, il giovane Sylos Labini partecipa al dibattito del dopoguerra sul “Piano del lavoro”
proposto dal sindacato per la ricostruzione economica, e si interessa attivamente (fra l’altro con una
vera e propria inchiesta sul campo, sul mercato dei braccianti agricoli) ai problemi del
Mezzogiorno: una preoccupazione costante per tutta la sua vita, alla quale dedicherà  un grosso
progetto di ricerca assieme ai suoi allievi catanesi (Sylos Labini 1966) e alcuni importanti saggi
(relativi fra l’altro all’interpretazione delle origini della mafia) recentemente raccolti in Sylos
Labini 2003. Inoltre scrive alcuni saggi teorici, che riguardano fra l’altro il ciclo economico, con
un’analisi che riprende e integra quelle di Marx e Schumpeter (Sylos Labini 1954, ristampato in
Sylos Labini 1984). Con il giurista Giuseppe Guarino viene inviato dal governo italiano, negli Stati
Uniti, in Canada e in Messico per studiare l’industria petrolifera di quei paesi. La missione dura da
agosto a ottobre del 1955; il risultato è un rapporto (pubblicato come Guarino e Sylos Labini 1956)
alle cui indicazioni si conforma la nuova legge petrolifera italiana, superando l’opposizione delle
maggiori compagnie petrolifere statunitensi.
Il contributo teorico principale di Sylos Labini arriva nel 1956, con Oligopolio e progresso
tecnico (ristampato poi più volte con Einaudi, e tradotto in varie lingue). Il libro appare quindi più o
meno contemporaneamente a quello di Joe Bain, Barriers to new competition (1956). I due lavori
sono poi considerati congiuntamente in un celebre articolo di rassegna di Franco Modigliani, “New
developments on the oligopoly front”, del 1958, ed è nell’interpretazione di Modigliani che entrano
a far parte della teoria comunemente accettata delle forme di mercato non concorrenziali. Tuttavia
con il suo modello Modigliani (amico di una vita di Sylos, fin dagli anni Quaranta quando si
conoscono in America) realizza una ‘sintesi neoclassica’ analoga a quella che compie per la teoria
keynesiana con i suoi articoli del 1944 e del 1963, trasponendo l’analisi di Sylos dal campo classico
a quello dell’equilibrio neoclassico e accantonando gli aspetti dinamici trattati nella seconda parte
del libro del 1956.
In sintesi, il concetto di oligopolio proposto da Sylos Labini si basa sulla nozione classica di
concorrenza come libertà  d’entrata nel settore di attività  considerato. Quando vi sono barriere
all’entrata, vi è oligopolio. In questo modo l’oligopolio diviene il caso generale, rispetto al quale la
concorrenza (assenza totale di qualsiasi ostacolo all’entrata) e il monopolio (presenza di barriere
all’entrata insormontabili) costituiscono i casi-limite, che nella loro forma pura sono del tutto rari
nella realtà. Spiegare le barriere all’entrata – la loro natura e la loro altezza – diviene allora
l’oggetto centrale della teoria delle forme di mercato. Bain, più vicino alla tradizione della teoria
della concorrenza monopolistica degli anni ’30, si concentra sul caso dell’oligopolio differenziato,
in cui il prodotto viene percepito come diverso a seconda dell’impresa che lo produce, e
l’investimento in pubblicità  genera una barriera all’entrata. Sylos Labini invece si riferisce
soprattutto all’oligopolio concentrato, in cui è l’ampia dimensione degli impianti tecnologicamente
più efficienti che provoca la difficoltà  all’entrata di nuovi concorrenti. Anche se le imprese già 
presenti nel settore ottengono profitti superiori a quelli normali in concorrenza, nel caso di
oligopolio concentrato è difficile che nuovi produttori si affaccino sul mercato, dato che dovrebbero
avviare un impianto di grosse dimensioni e quindi il loro ingresso comporterebbe un sensibile
aumento dell’offerta, che spingerebbe verso il basso il prezzo. Vediamo così che la barriera
all’entrata dipende dall’ampiezza del mercato, dalla dimensione degli impianti tecnologicamente
efficienti, dall’elasticità  della domanda (che determina di quanto dovrebbe cadere il prezzo in
conseguenza dell’aumento dell’offerta generata dal nuovo impianto produttivo), dal tasso di crescita
del mercato (che determina la durata nel tempo della flessione dei prezzi). Quest’ultimo elemento
introduce una dimensione dinamica nella teoria, che viene poi sviluppata (nella seconda parte del
libro) per prendere in considerazione il progresso tecnico e le implicazioni del dominio di una
forma di mercato oligopolistica per il comportamento dinamico dell’economia; inoltre il cosiddetto
principio del costo pieno (o mark-up) viene interpretato come una ‘regola del pollice’ per gli
adeguamenti dei prezzi alle variazioni dei costi piuttosto che come un criterio per determinare i
prezzi di equilibrio.
Negli anni successivi Sylos Labini sviluppa fra l’altro un modello econometrico
dell’economia italiana (Sylos Labini 1967), il primo nel suo genere in Italia (la Banca d’Italia, con
la consulenza di Modigliani, segue a ruota). Il modello considera un’economia a tre settori:
l’agricoltura, in cui prevale la concorrenza; l’industria manifatturiera, in cui prevale l’oligopolio;
infine, il settore dei servizi, caratterizzato dalla concorrenza monopolistica. La situazione della
domanda aggregata e della liquidità  nell’economia determinano gli investimenti nell’industria
manifatturiera e quindi il processo di accumulazione e di sviluppo nell’intera economia, data
l’ipotesi che la manifattura costituisce il settore trainante per l’economia nel suo complesso; in
questo modo una variante del criterio keynesiano della domanda effettiva determina l’occupazione,
con un ruolo importante attribuito alla distribuzione del reddito. I prezzi nei tre settori sono
determinati secondo regole diverse, a causa delle differenze nelle rispettive forme di mercato. Il
modello fornisce uno schema interpretativo per analizzare i problemi dell’economia italiana, ma
anche un punto di partenza per ulteriori ricerche (relative ad esempio alla relazione tra regola del
mark-up per la fissazione dei prezzi e distribuzione del reddito, Sylos Labini 1979) ed estensioni
dell’analisi a paesi diversi dall’Italia.
La linea di ricerca seguita per il modello econometrico viene sviluppata ulteriormente in
Sindacati, inflazione e produttività  (1972). Occorre tenere conto del fatto che salari e prezzi non
sono determinati in mercati perfettamente concorrenziali; quando la forma di mercato dominante è
l’oligopolio, l’utilizzazione del mark-up come criterio per la fissazione dei prezzi da parte delle
imprese interagisce con la contrattazione sui salari monetari fra sindacati e confederazioni
industriali, determinando – assieme al cambiamento tecnologico – il sentiero della distribuzione del
reddito.
Una concezione realistica dei nessi tra distribuzione, crescita economica e occupazione porta
Sylos a rifiutare le schematizzazioni della teoria economica mainstream e il trade-off frontale tra
salario e occupazione, e a cercare piuttosto le soluzioni concrete che permettano di conciliare
sviluppo dell’economia e aumento del potere d’acquisto dei lavoratori. Di qui una partecipazione
continua al dibattito di politica economica, anche tramite articoli sui maggiori quotidiani, con
proposte originali e prese di posizione spesso controcorrente, che gli sono valse rispetto e ostilità  da
destra come da sinistra. Sostenitore di una politica di accordi tra le parti sociali (si veda ad esempio
Sylos Labini et al., 1978) quale quella realizzata dall’allora ministro del Tesoro Ciampi nel 1992-
93, contrario alle politiche corporative (come nella costante campagna contro le ‘ope legis’
universitarie), fautore di una maggiore flessibilità  dei contratti di lavoro quando nessuno ne parlava
(il che, assieme al suo sostegno all’abolizione del punto unico di scala mobile, gli valse l’inclusione
tra gli obiettivi delle Brigate Rosse) e oppositore di una liberalizzazione generalizzata del mercato
del lavoro quando questa era ormai diventata la parola d’ordine acriticamente dominante,
favorevole al sostegno pubblico all’economia ma contrario alla proprietà  pubblica come fine in sé e
ai ‘salvataggi di Stato’, Sylos Labini ha sempre costituito una coscienza critica della sinistra laica e
riformatrice (nel senso che al termine attribuivano Riccardo Lombardi e Antonio Giolitti, con cui
collaborò all’epoca della nazionalizzazione dell’energia elettrica e della programmazione
economica: si veda in particolare Fuà  e Sylos Labini 1963).
Rientra nella sua partecipazione al dibattito politico in senso ampio anche il Saggio sulle
classi sociali (1974, tradotto – come molti suoi lavori – in varie lingue), un best-seller ai confini tra
economia, politica e sociologia che è più noto dei libri di Sylos tra il pubblico non specialistico. In
esso, Sylos critica la dicotomia marxiana tra capitalisti e proletariato, e sottolinea il ruolo centrale
delle classi medie. Il libro diede luogo a un vivace dibattito politico, contribuendo a un deciso
cambiamento di strategia da parte del più forte partito della sinistra italiana, il Partito Comunista.
Infatti, se il proletariato non è destinato a costituire la grande maggioranza della popolazione, per
una vittoria elettorale non è più sufficiente che ‘il partito’ si faccia interprete riconosciuto e
accettato del proletariato, ma è necessaria una strategia di alleanze attorno a un disegno di sviluppo
civile della società.
Questi temi ricompaiono in vari lavori successivi; per avere un’idea dell’ampiezza e della
profondità  dell’analisi di Sylos Labini si può ricorrere al suo Le forze dello sviluppo e del declino
(pubblicato nel 1984 simultaneamente in italiano da Laterza e in inglese dalla MIT Press), una
selezione attenta e ben organizzata di suoi lavori.
La concezione ‘smithiana’ dello sviluppo economico risulta evidente nei contributi di Sylos
Labini al tema del sottosviluppo, oggetto di alcuni libri e articoli, fra i quali il recente
Sottosviluppo: una strategia di riforme (2000). Sylos sottolinea la grande varietà  di traiettorie
istituzionali, sociali ed economiche seguite dai paesi in via di sviluppo (distinguendo ad esempio tra
le ex-colonie inglesi e quelle portoghesi e spagnole); sulla base di quest’analisi, propone una
strategia di riforme istituzionali per lo sviluppo. Così ad esempio per i paesi africani raccomanda
varie riforme organizzative, incluso un programma per sradicare l’analfabetismo, creare una rete di
assistenza sanitaria e promuovere distretti rurali e industriali.
Sylos Labini si opponeva alla concezione ‘ad arco’ della teoria economica neoclassica (con
l’arco che va dalle risorse scarse ai bisogni e desideri dei consumatori), contrapponendo ad essa la
concezione ‘a spirale’ dell’economia politica classica (dove la spirale è affine al ‘flusso circolare’ di
cui parla Sraffa, ma con l’accento posto sullo sviluppo e sul cambiamento più che sulle condizioni
di riproduzione del sistema). Di qui le critiche alle ipotesi di rendimenti di scala decrescenti o
costanti e alla funzione aggregata di produzione, di cui fornisce una originale interpretazione (Sylos
Labini 1995), e l’importanza attribuita ai processi cumulativi (rendimenti crescenti dinamici). Vari
scritti, soprattutto negli anni ’80, riguardano il cambiamento tecnologico, con la proposta di una
‘funzione della produttività ’ che incorpora un ‘effetto di sostituzione dinamico’ per il quale i prezzi
delle macchine in termini di salario influiscono sul sentiero della meccanizzazione e del
cambiamento tecnologico (su questi temi si può vedere Sylos Labini 1993).
In tutti i suoi lavori Sylos Labini concepisce l’economia come inseparabile dalle istituzioni,
dalla vita politica e dalle virtù civiche. Questa visione complessa delle società  umane costituisce il
retroterra per i suoi interventi nel dibattito politico, negli ultimi anni in opposizione al governo
Berlusconi. Nei suoi interventi, scritti e orali (alcuni suoi discorsi resteranno memorabili per quelli
che li hanno ascoltati), Sylos fustiga la debolezza morale e la mancanza di dignità  e di civismo
dominanti nel governo, ma diffusi anche nell’opposizione e più in generale in tutto il paese. “Non
sono italiano, sono un finlandese che parla bene le lingue”, amava ripetere; ma i suoi interventi
erano in realtà  il segno di un profondo amor di patria. I suoi articoli sui quotidiani, le sue interviste
e i suoi libri ‘politici’ sono stati accolti favorevolmente da molti, ma certo non da tanti esponenti
politici che temevano le sue sfuriate critiche, sempre ben documentate, nella tradizione dei suoi
maestri e amici, Gaetano Salvemini ed Ernesto Rossi. Fino all’ultimo, Sylos è stato anche l’artefice
di un impressionante flusso di proposte concrete, la più recente delle quali riguardava un’iniziativa
legislativa a sostegno dei distretti industriali.
I suoi scritti riflettono la sua personalità, in cui intelligenza e passione, cultura e impegno
civile e morale si fondevano in una combinazione unica e affascinante. Una vera forza della natura,
Paolo Sylos Labini era un leader naturale, capace di trascinare nella protesta come nel progetto
costruttivo. Preferì la ricerca e l’insegnamento a una carriera politica, ma considerava il
coinvolgimento attivo nella politica come un dovere civico per tutti. Molti economisti italiani e non
italiani sono stati suoi allievi, e molti di più sono stati influenzati dalle sue idee; con il suo esempio,
ha fornito un modello straordinariamente elevato di serietà  e rigore morale nella ricerca,
nell’insegnamento e nello stile di vita, congiunto a un vivo interesse per gli altri. Tutti coloro che
hanno avuto la fortuna di conoscerlo sentiranno la sua mancanza.

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Alessandro Roncaglia
roncaglia@nomail.nomail

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