
Yanis Varoufakis
1. Il capitalismo va salvato, oggi
Nel 2008, il capitalismo ha avuto il suo secondo spasmo globale. La crisi finanziaria ha innescato una reazione a catena che ha innescato una reazione a catena che continua ancora oggi. L’attuale situazione dell’Europa non è semplicemente una minaccia per i lavoratori, per i poveri, per i banchieri, per le classi sociali, o, addirittura, per le nazioni. No, l’attuale situazione dell’Europa è una minaccia per la civiltà così come la conosciamo. Se la prognosi è corretta, e se non stiamo assistendo soltanto a un altro saliscendi del ciclo economico, la questione che si pone per chi ha un pensiero radicale è questa: dobbiamo dare il benvenuto a una crisi del capitalismo europeo che ci da la possibilità di rimpiazzarlo con un sistema migliore? O dobbiamo essere preoccupati e imbarcarci in una campagna finalizzata a stabilizzarlo? Per me, la risposta è chiara. La crisi economica non farà probabilmente nascere un’alternativa migliore del capitalismo. Al contrario, potrebbe pericolosamente liberare forze regressive che hanno la capacità di causare un bagno di sangue umanitario, estinguendo la speranza per ogni spinta al progresso per le generazioni a venire. Il mio scopo è quello di dimostrare che l’implosione del ripugnante capitalismo europeo vada evitata a ogni costo. E’ una confessione, questa, che intende convincere i radicali che abbiamo una missione contraddittoria. Quella di arresta la caduta libera del capitalismo per aver tempo di trovare un’alterativa.
2. Perché Marx è importante (anche se non sei marxista)
Se la mia intera carriera accademica ha largamente ignorato Marx,e le mie attuali raccomandazioni sulle politiche da attuare sono impossibili da descrivere come marxiste, perché tirare fuori ora il mio marxismo? La risposta è semplice: anche la mia economia non-marxista è stata guidata da una mentalità influenzata da Marx.
Un teorico sociale radicale può sfidare il pensiero dominante economico in due modi diversi, ho sempre pensato. Un modo è mediante un criticismo intrinseco. Accettare l’assioma dominante ed esporre le sue contraddizioni interne. Dire: «Io non contesterò i tuoi presupposti ma qui è perché le tue conclusioni non seguono logicamente quei presupposti». Questo è stato, per la verità, il metodo di Marx di minare le politiche economiche britanniche. Accettò ogni assioma di Adam Smith e David Ricardo allo scopo di dimostrare che, nel contesto dei loro presupposti, il capitalismo era un sistema contradditorio. La seconda via che un teorico radicale può seguire è, naturalmente, la costruzione di teorie alternative a quelle dell’establishment, sperando che saranno prese seriamente.
3. Il capitalismo non è cattivo: è irrazionale
Oggi, tornando alla crisi europea, alla crisi negli Stati Uniti e alla stagnazione di lungo periodo del capitalismo giapponese, la maggior parte dei commentatori non riesce a rendersi conto del processo dialettico sotto il loro naso. Riconoscono la montagna di debiti e perdite bancarie ma trascurano l’altra parte della medaglia: la montagna di risparmi inattivi che sono “congelati” dalla paura e per questo non riescono a convertirsi in investimenti produttivi. Uno stato di allerta marxista sulle opposizioni binarie avrebbe potuto aprire i loro occhi. Una ragione principale del perché l’opinione consolidata non riesce a venire a termini con la realtà è che non ha mai conosciuto la dialetticamente tesa “produzione congiunta” di debiti e avanzi, di crescita e disoccupazione, di ricchezza e povertà, a dirla tutta di bene e male. Gli scritti di Marx ci hanno messo in guardia sul fatto che queste opposizioni binarie siano le fonti dell’astuzia della storia.
4. Il grande errore della sinistra del ventesimo secolo
Nel Ventesimo secolo, i due movimenti politici che cercarono radici nel pensiero di Marx furono i partiti comunisti e socialdemocratici. Entrambi, oltre agli altri errori (e ai crimini), non riuscirono a seguire la direzione indicata da Marx in un aspetto fondamentale – e ne vennero danneggiati. Invece di adottare la libertà e la razionalità come loro grida di battaglia e concetti organizzativi, scelsero l’uguaglianza e la giustizia, lasciando il concetto di libertà ai neoliberisti. Marx era chiarissimo: il problema del capitalismo non è che è ingiusto ma che è irrazionale, visto che condanna abitualmente intere generazioni alle privazioni e alla disoccupazione; trasforma perfino i capitalisti in automi in preda all’ansia, facendoli vivere nella paura permanente che, a meno che non mercificano del tutto gli altri esseri umani per servire con più efficienza l’accumulazione del capitale, non saranno più capitalisti. Dunque, se il capitalismo appare ingiusto è perché schiavizza tutti; spreca risorse umane e naturali; la stessa linea di produzione che pompa fuori notevoli gadget e ricchezza smisurata produce anche crisi e profonda infelicità.
5. Il più grande successo della Thatcher? Tony Blair
Perfino quando la disoccupazione raddoppiava e poi triplicava, sotto gli interventi radicalmente neoliberisti della Thatcher, ho continuato a covare la speranza che Lenin avesse ragione: «Le cose devono peggiorare prima che vadano meglio». Ma quando la vita è diventata più cattiva, più incivile e, per molti, più corta, mi è venuto in mente che ero tragicamente in errore: le cose possono peggiorare in perpetuo senza mai migliorare. La speranza che il deterioramento dei beni pubblici, la diminuzione delle vite della maggioranza delle persone, il diffondersi delle privazioni a ogni angolo del territorio avrebbe, automaticamente, portato alla rinascita della sinistra era solo questo: speranza.
La realtà era, comunque, dolorosamente diversa. A ogni giro della vite della recessione, la sinistra è diventata più introversa, meno capace di produrre un convincente programma progressista e, allo stesso tempo, la classe operaia è stata divisa tra quelli che hanno mollato la società e quelli cooptati nella mentalità neoliberista. La mia speranza che la Thatcher avrebbe inavvertitamente portato a una nuova rivoluzione politica era una sciocchezza bella e buona. Tutto quello che è venuto fuori dal thatcherismo è stata una finanziarizzazione estrema, il trionfo del centro commerciale sul negozio all’angolo, la “festishazzione” del settore abitativo, e Tony Blair.
6. Distruggere l’Europa non ha senso
La lezione che la Thatcher mi ha insegnato sulla capacità di una recessione di lungo periodo di minare le politiche progressiste è una di quelle che ho portato con me nella crisi dell’Europa di oggi. E’, in verità, il fattore decisivo della mia posizione in relazione alla crisi. E’ la ragione per la quale sono felice di confessare il peccato di cui sono accusato da alcuni dei miei critici a sinistra: il peccato di scegliere non di proporre programmi politici radicali che cerchino di sfruttare la crisi come un’opportunità di rovesciare il capitalismo europeo, per demolire la terribile eurozona, e per minare l’Unione europea dei cartelli e dei banchieri delle bancarotte.
Sì, mi piacerebbe proporre un programma tanto radicale. Ma, non, non sono pronto a commettere due volte lo stesso errore. Che bene abbiamo ottenuto in Gran Bretagna nei primi anni Ottanta promuovendo un programma di cambio socialista che la società britannica rifiutò mentre si buttava a capofitto nella trappola neoliberista della Thatcher? Precisamente, niente. Quale beneficio ci sarebbe oggi nel chiedere di distruggere l’eurozona, l’unione europea stessa, quando il capitalismo europeo sta facendo il suo massimo per minare l’Eurozona, l’Unione europea, se stesso?
7. L’Europa va salvata da se stessa
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