I ricordi postumi di uno studioso sono normalmente ricordi delle sue idee, magari degli incontri, se non degli scontri, con le idee di chi scrive, o di importanti convegni e di altri aspetti della vita accademica. Il personaggio vien fatto rivivere sul suo naturale palcoscenico, con tanti allievi intorno, cui dispensa pianamente, autorevolmente, la sua scienza.
Ebbene, per Paolo Sylos Labini quella sceneggiatura non funziona, non perché non fosse circondato da discepoli – tutt’altro! – ma perché gli incontri con Paolo, questa è la mia esperienza, non erano mai “accademici”, nel senso negativo del termine; qualunque fosse l’argomento, anche il piຠtecnico, la discussione accendeva invariabilmente le luci della morale e dell’interesse pubblico. La sua concezione del lavoro dell’economista si riassumeva in un passaggio di una «Lettera al direttore» di «la Repubblica», nel settembre 1988, redatta e firmata anche da lui: «i maestri che illustrarono in passato questo ramo di studi si dedicarono ai grandi problemi della società in cui vivevano e dettero ai loro insegnamenti un contenuto in cui vivevano ed una forma tali da offrire lumi per la coscienza civile e l’azione politica”.
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