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saggio_sulle_classi_sociali_di_sylos_labiniIl fisico studia gli atomi, ma egli non è un atomo. Il microbiologo studia i microbi, ma egli non è un microbo. L’economista, non diversamente dal sociologo, studia la società  della quale fa parte: egli non è estraneo all’oggetto del suo studio nel senso particolare in cui si può affermare che lo sia il cultore di scienze naturali. Di conseguenza, lo studioso di discipline sociali nella sua attività  intellettuale (e politica) è necessariamente condizionato dall’educazione che ha ricevuto, dall’ambiente dal quale proviene, dalle sue preferenze circa i movimenti della società  in cui vive, in una parola, dalla sua ideologia. Di ciò egli deve essere ben consapevole, proprio per ridurre le distorsioni che nelle sue analisi – addirittura nella scelta stessa dei temi da studiare – può provocare la sua ideologia. Lo studioso di discipline sociali che si crede orgogliosamente «obiettivo», neutrale, fuori della mischia, è, tutto sommato, un personaggio patetico, perché è vittima di una ideologia senza saperlo e senza possibilità  di contrastarne le pressioni. Se lo studioso non può sperare di essere rigorosamente «obiettivo» (ciò che è impossibile), può e deve tuttavia sforzarsi di essere intellettualmente onesto, ossia può e deve cercare di vedere tutti gli aspetti di un determinato problema, anche gli aspetti per lui sgradevoli, e non solo quelli che sono conformi alla sua ideologia o utili per la sua parte politica.

Detto tutto questo, credo di dover spiegare ai lettori alcuni frammenti della mia ideologia, nella misura in cui ne sono consapevole: tali indicazioni potranno anche chiarire, spero, il motivo o i motivi che mi hanno indotto ad affrontare questi problemi, ciò che a rigore rappresenta un’invasione in campo altrui. Indicherò, in particolare, tre punti.

Punto primo. La posizione del singolo nella società  – in una determinata classe o gruppo sociale – condiziona il suo modo di pensare e di agire, ma non lo determina in modo puntuale. Il singolo può ampliare (ma non indefinitamente) i limiti entro cui pensa e agisce proprio attraverso la coscienza e la conoscenza critica della sua posizione nella vita sociale. Per il bene o per il male, la zona discrezionale è specialmente ampia nel caso di coloro che appartengono alle classi intermedie e, ancora più specialmente, nel caso degli intellettuali; ma tende a crescere anche per coloro che appartengono alle così dette masse, man mano che il livello medio di vita supera il livello di sussistenza (comunque venga inteso).

Punto secondo. Con riferimento alla classificazione indicata nella prima tabella (v. l’Appendice), dal punto di vista economico-sociale chi scrive, che è un professore universitario, si considera membro di una frangia che sta fra la media e la piccola borghesia. Egli è dunque, per diversi motivi, un privilegiato – lo è dal punto di vista economico, lo è dal punto di vista del grado d’istruzione che ha potuto conseguire grazie alla posizione sociale della sua famiglia e non per virtù «innate». Ma il privilegio non è, in sé e per sé, un motivo di censura o di vergogna: lo è se è fine a se stesso; non lo è se viene usato per fini socialmente e civilmente validi – in ultima analisi e in prospettiva, per negare i privilegi stessi.

Punto terzo. Chi scrive si considera, politicamente, un onesto riformista – onesto nel senso che non solo crede ma, con le sue modestissime forze, opera per le riforme, specialmente per quelle riforme che possano contribuire a «sgombrare il terreno da tutti quegli impedimenti legalmente controllabili che impacciano lo sviluppo della classe operaia» (Marx, Prefazione al Capitale, Ed. Rinascita, Roma, 1951, p. 17). Egli pensa di avere una tale concezione non per una straordinaria nobiltà  di animo e per una generosità  senza pari, ma semplicemente per ragioni di meditato egoismo: il processo di trasformazione sociale del nostro paese «si muoverà  in forme più brutali o più umane secondo il grado di sviluppo della classe operaia» (Marx) e, più in generale, secondo il grado di sviluppo delle classi inferiori o subalterne: lo stesso livello civile della nostra società  e, in definitiva, della nostra vita quotidiana, dipendono dal grado di sviluppo di queste classi, che nessuna legge soprannaturale ha condannato a rimanere per sempre subalterne. Pur considerandosi un riformista, chi scrive non ha ostilità, ha anzi rispetto, per coloro che vogliono operare da rivoluzionari, a condizione che si tratti di rivoluzionari seri e non di miserevoli parolai o di luridi imbroglioni. E sebbene egli auspichi le riforme non per consolidare il sistema ma per cambiarlo, chi scrive deve ammettere che gli fa difetto la fede rivoluzionaria – la fede nella necessità  o nell’utilità  di un grande trauma nel processo di trasformazione sociale.

Dopo questa premessa, lunga ma, spero, non inutile, entro nel tema che mi sono proposto.  Intendo, in particolare, presentare un breve abbozzo di analisi, anche quantitativa, delle classi sociali considerate, in prima istanza, dal punto di vista economico.  L’obiettivo è di contribuire alla comprensione critica di noi stessi e dei nostri problemi sociali;
oggi, in particolare, è importante cercare di comprendere la natura degli ostacoli che finora hanno in gran parte impedito l’attuazione delle riforme e il significato delle lotte sociali e politiche e delle alleanze che in queste lotte si stabiliscono fra le diverse classi e sottoclassi.  Si tratta solo di un esame preliminare: se il punto di partenza è valido altri potranno elaborare una vera e propria analisi critica della società  italiana di cui tutti, ma specialmente gli uomini della sinistra, avvertono oramai un acuto bisogno.

(Saggio sulle classi sociali, Laterza 1974 – il libro può essere scaricato a questo link)

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Paolo Sylos Labini
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