
di Sergio Ferrari
Con la pubblicazione dei dati relativi all’andamento del Pil del quarto trimestre dell’anno passato si possono verificare gli andamenti dei nostro sistema economico, che, come è noto era sotto sorveglianza. Il Governo aveva dato la notizia che a partire dalla metà del 2015, si era invertita la tendenza negativa e che era possibile una crescita a fine del 2015 del 0,9 % se non dell’1 %. Lo stesso Ministero dello Sviluppo aveva pubblicato una Nota affermando che “Il Pil italiano continua il suo recupero nel terzo trimestre“aggiungendo un grafico, che viene riprodotto qui di seguito con l’unica variante di aver aggiunto anche i dati relativo al quarto trimestre del 2005. Per l’Italia, inoltre occorre ricordare che il dato dell’Istat indica per il 2015 una crescita dello 0,6%.
Qualcuno aveva avanzato delle perplessità su quelle previsioni ma, prima ancora, dei dubbi che quelle ipotesi potessero verificarsi in relazione ai provvedimenti e alle riforme adottate dal Governo. Quelle posizioni vennero eliminate con le battute sui “gufi”.
La questione è che gli andamenti “reali” del nostro PIl avvengono, come è logico, proprio perché quelle tanto decantate riforme non hanno nulla o ben poco a che fare con la questione del nostro declino. Un declino che non stà certamente sulle spalle di questo Governo dal momento che risale agli anni ’80, ma che anche in virtù di questo lungo tempo passato, doveva essere rilevato e studiato, e non confuso con la crisi internazionale nata negli anni 2007 e seguenti. Peraltro anche quel grafico del Ministero dello Sviluppo avrebbe dovuto sollevare ben altre considerazioni dal momento che i dati riportati anche per la Germania, la Francia, la Spagna e il Regno Unito, confermavano il nostro ormai storico declino nel senso di una crescita comunque inferiore a quella dei paesi nostri partner economici e politici. Nel momento che sembra che sia in atto una fase di superamento della crisi internazionale è ovvio che gli effetti di trascinamento si verifichino anche nei confronti della nostra economia, ma l’aver conservato un divario dello sviluppo pressoché inalterato, indica chiaramente la permanenza della cause di quel nostro declino. Questa dovrebbe essere la lettura corretta della situazione economica del nostro Paese. L’opportunità politica non gioca certo nella direzione necessaria per questa lettura e sarà tanto se verranno lasciati in pace i “gufi”.
Quello che occorre aggiungere, tuttavia, è che senza darsi una spiegazione convincente e non di comodo, di questa nostra realtà negativa, sarà difficile se non impossibile trovare rimedi che non siano quelli dietro l’angolo di un qualche incentivo, già applicati senza esito. Gli interventi necessari hanno una dimensione strutturale e implicano un cambiamento degli stessi attori politici e dei riferimenti pseudo-teorici in uso attualmente. Senza questa strategia la competitività del nostro sistema produttivo, ma anche gli stessi problemi di ordine etico che ci distinguono, sarà molto difficile che possano essere affrontati.
In termini contrari a questi cambiamenti gioca naturalmente anche un’Europa che sempre più viene riconosciuta come non all’altezza dei problemi di quest’epoca. Ma questa è un’altra storia che nulla cambia rispetto a responsabilità tutte interne.
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