
In una lunga intervista a cura della World Economics Association, l’economista Dani Rodrik discute dello stato della scienza economica di fronte alla crisi, e alla messa in discussione del cosiddetto “Washington consensus” e dell'”ideologia” del mercato che esso sottende prendendo le mosse dagli assunti dell’economia neoclassica. “A differenza delle scienze naturali”, afferma Rodrik, “ritengo che nell’economia i progressi non siano rappresentati da modelli nuovi che si sostituiscono a quelli vecchi, ma da un più ampio spettro di modelli in grado di far luce sulla varietà dei processi sociali.” In questo senso Rodrik rileva una grande debolezza nell’economia che si è sviluppata nell’area nord americana, consistente nella scarsa attenzione dedicata all’analisi in prospettiva sociale e storica. “Per diventare un vero economista, è necessario spaziare dalla storia, alla sociologia, alle scienze politiche, discipline mai incontrate nei programmi di laurea. Al giorno d’oggi i migliori economisti trovano il modo per colmare questa lacuna della loro formazione.” Rodrik si ritiene perciò fortunato per essere passato per le scienze politiche prima di passare all’economia affermando che alcuni dei suoi migliori lavori sono stati stimolati da questioni emerse al di fuori dell’economia, e più precisamente dell’economia neoclassica in cui si è costruita la sua formazione. Ne emerge un cauto scetticismo nei confronti del mainstream, e l’invito a sfidare il senso comune di cui esso è portatore. Rodrik tenta in questo modo di sollecitare presso gli economisti del mainstream una visione meno ideologica, con l’invito a recuperare dimensioni storiche e sociali della riflessione economica che ne consentano una maggiore aderenza alla realtà.
Molto tempo prima Keynes aveva scritto: “lo studio dell’economia non sembra richiedere doti straordinarie. Sul piano intellettuale, non è forse una disciplina assai semplice rispetto alle branche più elevate della filosofia e della scienza pura? Ma gli economisti bravi, o anche solo competenti, sono mosche bianche. L’economia è una materia facile in cui però pochissimi eccellono. Il paradosso trova una spiegazione nel fatto che il grande economista deve possedere una rara combinazione di qualità. “¦ Deve essere, in una certa misura, un matematico e uno storico, uno statista e un filosofo. Deve sapersi esprimere, ed essere in grado di comprendere i simboli. Deve saper cogliere il particolare nel generale e abbracciare l’astratto e il concreto nello stesso moto del pensiero. “¦Deve essere ad un tempo risoluto e disinteressato, distaccato e incorruttibile come un artista, ma a volte anche pragmatico come un politico. “¦Marshall possedeva molte componenti di questa ideale poliedricità, ma non tutte”¦ aveva senza dubbio la stoffa dello storico e del matematico, ed era capace di occuparsi insieme del particolare e del generale, del temporale e dell’eterno.” Peccato che questa importante consapevolezza sia andata col tempo sempre più svanendo.
Le parole di Rodrik oggi mettono sostanzialmente in crisi la visione asettica del modello neoclassico, anche se non è nelle intenzioni dell’autore sferrare un attacco frontale all’ortodossia dominante. Ma è sicuramente un buon inizio, e il convincimento con cui Rodrik sostiene le sue affermazioni deve essere preso molto sul serio. Leggi l’articolo
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