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Michele Salvati, allievo di Paolo Sylos Labini, sul Corriere della Sera ha scritto:” In
un paese di nani ci ha lasciato un gigante”. Un Gigante, conosciuto a rispettato in tutto
il mondo, poco amato dal ceto politico del suo paese il quale, se si esclude la presenza
di Ciampi, ha evitato persino di onorarlo il giorno del funerale.
Il mio incontro con Paolo, il più importante della mia vita, era avvenuto con un
telegramma nel 1974, quando era stato chiamato insieme a Nino Andreatta, a
inventarsi l’Università  della Calabria ed entrambi entrarono in conflitto con Giacomo
Mancini, leader dei socialisti calabresi. La polemica esplose sui giornali ed ebbe
anche una coda in tribunale. Mancini era amico di mio padre, ma io, allora sindaco di
Pavia, inviai un telegramma di solidarietà  a Sylos, il quale, a circa 30 anni di distanza,
un giorno in cui avevamo incontrato Sergio Cofferati, tirò fuori dalla tasca la copia di
quel telegramma e me la consegnò. Eravamo amici da tanto tempo e io non lo sapevo!
Nel 1996, con la mia elezione a deputato, iniziò una frequentazione più assidua, legata
alle battaglie di Paolo che avevano un rapporto con quanto avveniva in Parlamento.
Di quel periodo ne ricordo due: la difesa dell’autonomia del Parlamento e il ricorso di
un gruppo di intellettuali contro la eleggibilità  di alcuni deputati, tra i quali l’attuale
capo del governo, e la difesa della Costituzione alla prova della Bicamerale. Sulle
ineleggibilità  Paolo ripresentò( l’aveva fatto anche nel 1994) un ricorso alla giunta per
le elezioni della Camera insieme ad un gruppo di intellettuali tra i quali ricordo
Laterza, Flores D’arcais, Galante Garrone, Pizzorusso. Naturalmente la Giunta, con
una interpretazione cavillosa, dichiarò eleggibili i deputati, e tra essi Berlusconi, che
per legge erano ineleggibili. Quanto alla Bicamerale bisogna dire che Paolo aveva
capito prima e meglio di altri, compreso chi scrive, come sarebbe andata a finire. Ma
l’impegno civile e politico di Paolo diventa più tenace e costante dopo le elezioni del
2001. Insieme costituiamo Opposizione Civile, il Comitato per la Costituente
dell’Ulivo e da ultimo Il Cantiere per il bene comune.
Paolo non si risparmia. Partecipa alla stagione dei movimenti e dei girotondi: è
presente a Milano al Palavobis e nelle altre manifestazioni. Alla grande
manifestazione di San Giovanni, contro la legge Cirami, non è presente perché è
ricoverato in ospedale. Ma invia un messaggio e pretende che venga letto da me e
senza modifiche. Paolo era solito dire:” come economista sono discreto. Ma il merito
che mi riconosco è la tenacia”. E così è stato fino all’ultimo: tenace e intransigente
nella difesa dei valori di laicità  dello Stato, anche se in rapporti di stima e di amicizia
con cattolici come Don Sturzo, Vanoni, Segni, Scalfaro. Tenace e intransigente nella
difesa dell’etica pubblica, della scuola e della ricerca al servizio del paese. Paolo che
nei momenti di indignazione afferma di volersi dimettere da italiano, è stato un grande
patriota. Amava la Patria e la voleva pulita, giusta e rispettata, in Italia e all’estero. E’
stato indulgente verso le debolezze umane. Ma mai verso gli opportunismi.
Considerava l’opportunismo e il conformismo la vera malattia del paese, da
combattere e da non giustificare mai. Paolo Sylos Labini, come spesso accade, forse,
era più considerato all’estero che il Italia, perché il suo carattere, il suo stile di vita, il
suo parlare senza sottintesi, non sempre erano apprezzati in un paese incline alle
mediazioni, alle furbizie, ai piccoli e grandi opportunismi. Marco Travaglio nella
rubrica “Bananas” ha ricordato le dimissioni di Paolo da componente del comitato di
consulenza del ministero del bilancio, perché il presidente era il sottosegretario Lima,
già  allora( 1974) in odore di mafia. Il ministro era Andreotti e Paolo gli disse:” O io o
Lima”. Il ministro difese Lima e Paolo lasciò. Travaglio lamenta che Paolo non è stato
nominato Senatore a vita, mentre in Senato siede il Senatore amico di Lima. Nella
sfortuna e nelle difficoltà  economiche per il licenziamento del padre, ferroviere
antifascista, da parte del regime, Paolo è stato fortunato. IN America ha conosciuto e
ha vissuto con Gaetano Salvemini; ha frequentato Ernesto Rossi; era nipote di
Giustino Fortunato; ha conosciuto Don Sturzo, Calamandrei, Vanoni. Con Paolo
Sylos Labini se n’è andato l’ultimo e autentico erede di quella grande tradizione
culturale, civile e politica che da Salvemini, attraverso Carlo e Nello Rosselli, Ernesto
Rossi e Galante Garrone, arriva ai nostri giorni proprio con Sylos Labini. Uomini che
non si sono mai compromessi né con il fascismo né con il comunismo. Che da
sacerdoti laici hanno combattuto a viso aperto e pagandone le conseguenze, regimi,
consorterie e corporazioni. Che hanno lasciato un vuoto incolmabile in un paese che
avrebbe bisogno di persone come loro. In un lungo articolo che l’Unità  aveva
pubblicato in estate, in due parti, Paolo aveva scritto:”Non sono credente, ma ho
grande rispetto per chi crede e si comporta di conseguenza. Penso che tanti e tanti,
anche i più cinici, siano tormentati da quando hanno l’età  della ragione dal problema
della religione, ossia da due problemi: il senso della vita e la prospettiva della morte.
Per questa prospettiva ritengo che quando la signora vestita di nero si presenterà  al
mio cospetto, la tratterò- mi auguro di essere corente- con cortesia e “ arguzia”, come
dice e come probabilmente ha fatto il mio amico Adamo Smith e come certamente ha
fatto il mio amico e maestro Gaetano Salvemini il quale, quando stava per “ chiudere
gli occhi alla luce” ebbe la visita di due ex studentesse, che si accostarono trepidanti e
commosse al maestro che stava per morire- e lui lo sapeva bene-:” Come siete carine,
disse, se mi rimetto vi sposo tutte e due”. IN quell’articolo che mi è sembrato subito il
suo testamento morale, dopo avere fatto la storia della famiglia e avere raccontato la
sua vicenda umana e professionale, concludeva ricordando l’esperienza del Cantiere.
“ Noi tutti crediamo al metodo della libertà ”, scriveva Paolo, “ ossia la persuasione
che i Greci vedevano come una splendida semidea e chiamavano Peito, e i romani,
con un nome bellissimo, Suadela. Ecco: per noi ilo cammino della civiltà  si chiama
Suadela”.
Nel darti l’yultimo saluto, Paolo carissimo, ti abbraccio insieme a Marinella, la tua
bussola e stella polare, a Francesco e a Stefano i quali ti hanno amato e sono fieri di
avere condiviso fino in fondo il tuo viaggio.

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Redazione
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