Un articolo di Antonio Lettieri su Eguaglianza & Libertà
Il tedesco voleva il Grexit, il francese evitare ad ogni costo che l’uscita dall’euro diventasse un’opzione, per non rafforzare enormemente la Le Pen. Così ha “mediato” proponendo un memorandum tanto irrazionale e punitivo che i falchi non potevano rifiutarlo: e neanche il leader greco, che aveva il mandato di tenere il paese nella moneta unica. Ma una resa dei conti è solo rinviata |
Gli altri aspetti del programma sono economicamente cervellotici e socialmente punitivi: l’aumento dell’Iva al livello standard del 23 per cento – con poche eccezioni al 13 per cento, come i beni alimentari “di base” (?!); la progressiva abolizione dell’integrazione delle pensioni al disotto della soglia di povertà; e, dulcis in fundo, la “riforma strutturale” per eccellenza che impone la sostanziale liquidazione della contrattazione sindacale e la libertà dei licenziamenti collettivi. Non si può non condividere il giudizio di sintesi di Barry Eichengreen della Berkeley University: ” si tratta di un programma perverso che immergerà la Grecia nella depressione”¦Alla fine, l’accordo porterà alla Grexit”.
Sospendiamo per un momento il giudizio sulle sue conseguenze, buone o cattive, per la Grecia di questa proposta, e chiediamoci perché e come essa sia stata accantonata. In effetti, lo stop decisivo è venuto da Franà§ois Hollande. Per il governo francese l’uscita della Grecia dall’euro era un evento inaccettabile La Francia, con la sua crescita esangue, l’elevato disavanzo di bilancio, ancora sopra il fatidico tre per cento, è la vittima più illustre della politica di austerità, imposta dal binomio Berlino-Bruxelles. Se le istituzioni europee rovesciassero il paradigma dell’irreversibilità dell’euro, se uscirne, più o meno provvisoriamente, diventasse un’opzione possibile, l’opposizione del Fronte nazionale di Marine Le Pen acquisterebbe una chiara e probabilmente irresistibile legittimazione. Non basta. Se, incoraggiati dall’esempio greco, i francesi fossero chiamati a esprimersi in un referendum rispetto al quale si stemperano le differenze fra le posizioni radicai di destra e di sinistra, con quali possibilità di successo Hollande, il presidente col consenso popolare più basso della storia della V Repubblica, potrebbe credibilmente difendere l’intangibilità dell’euro e le rovinose politiche di austerità ? Un referendum si rivela uno strumento di democrazia di massa che i governi, indipendentemente dal loro colore, difficilmente possono controllare. Il loro contagio è minaccioso per i governi, generalmente impopolari, delle province dell’eurozona. Se l’uscita, più o meno provvisoria dall’eurozona, diventasse un’opzione praticabile, secondo la proposta avanzata nei confronti della Grecia, la sfida nei confronti dei governi dei paesi che più direttamente soffrono le conseguenze della fallimentare politica dell’austerità acquisterebbe connotati finora imprevisti. Per evitare questa deriva Hollande doveva prospettare una contropartita irrinunciabile ad Angela Merkel, che nell’ improvvisato e drammatico tàªte à tàªte all’Eliseo, aveva spiegato di non poter arretrare da una posizione di intransigenza nei confronti del governo greco, ma al tempo stesso di considerare con preoccupazione non solo la rottura dell’eurozona, ma anche una pericolosa incrinatura dello scenario geopolitico in un’area esplosiva come il Mediterraneo e i Balcani – problema sollevato con insistenza da Barack Obama. Alla fine, la mediazione di Hollande è consistita nell’offrire a Merkel e a Schà¤uble lo scalpo di Tsipras sotto la forma di una resa senza condizioni rispetto alla quale nemmeno il più agguerrito dei falchi poteva opporsi: un programma più duro e invasivo di tutti gli altri in passato firmati dai governi conservatori dei paesi in crisi, dall’Irlanda al Portogallo alla Spagna. Mediazione, quella di Hollande, o complicità in un’opera di killeraggio di un paese al quale veniva negata la possibilità di un dignitoso compromesso? O, più semplicemente un’ennesima testimonianza della debolezza della Francia nei rapporti di potere all’interno dell’eurozona? 5. Conviene, a questo punto, fare un passo indietro. La realizzazione della moneta unica, come si prospettava all’inizio degli anni ’90, doveva essere nelle intenzioni di Mitterand e di Delors il sigillo irreversibile della partnership franco-tedesca e di un’egemonia condivisa sull’Unione europea. Non a caso, nella costruzione europea, la Francia era stata protagonista indiscussa sin dai tempi di Schumann e Monnet. Le cose erano cambiate dopo l’89 col collasso dell’impero sovietico e la riunificazione tedesca. La crisi dello SME- il sistema monetario europeo – del 1992 aveva portato alla luce del sole la debolezza del franco francese. L’attacco speculativo alle monete nazionali aveva lasciato sul terreno come vittime due paesi centrali dell’Unione europea, il Regno Unito e l’Italia, costretti a svalutare il cambio e a uscire dallo SME. La Francia si era a stento salvata per l’aiuto della Germania. Il franco francese non era in grado di reggere il cordone ombelicale con il marco. La realizzazione della moneta unica, non ostante la forte opposizione in Germania, divenne la contropartita dell’unificazione tedesca. La moneta unica avrebbe posto sullo stesso piano il franco e il marco. In realtà era anche il modo di mascherare lo squilibrio crescente fra le due monete e le due economie nazionali. Al treno dell’euro si agganciarono paesi ancora più deboli come l’Italia e via via gli altri. Ma il disegno francese si mostrò illusorio. In effetti, l’euro divenne la versione europea del marco. E l’egemonia tedesca si rafforzò associando alla gestione della moneta unica vincoli di politica fiscale ed economica sempre più stringenti. La partnership franco-tedesca si riduceva progressivamente a un simulacro al quale i governi rendono omaggi formali, senza tuttavia riuscire a nascondere la differenza di autorità nel determinare le politiche dell’eurozona, sempre più chiaramente in mani tedesche. In questo quadro, l’uscita della Grecia dall’eurozona è stata considerata un passaggio che la Francia doveva scongiurare a ogni costo. Così Hollande – con Matteo Renzi schierato al suo fianco dopo essere stato sostanzialmente escluso dalle diverse fasi del negoziato – ha bloccato la Grexit, manifestazione della reversibilità dell’euro e, insieme, certificazione del fallimento della politica di austerità. Ma per quanto? La proposta di Schà¤uble, solo provvisoriamente accantonata, di un’uscita concordata, più o meno a termine, dall’eurozona, ha irreversibilmente cambiato lo scenario. La permanenza nell’euro non è garantita per nessuno dei paesi membri. Per stare nell’eurozona bisogna rigorosamente rispettarne le regole, anche se il costo è la riduzione degli Stati sovrani a un protettorato o a una semi-colonia del nuovo impero centrale circondato da una folla di satelliti più o meno grandi.
La Grecia ha osato rompere la disciplina, e ne ha pagato duramente il prezzo. Ma la crisi rimane aperta, e il contagio della ribellione, anche seguendo percorsi diversi, è destinato a estendersi: dalla Spagna che celebrerà le elezioni politiche in autunno, alla Francia, dove cresce l’opposizione alle politiche di austerità non solo nell’estrema destra ma anche nell’ala sinistra del Partito socialista, all’Italia – dove per la prima volta, nei sondaggi, l’uscita dall’euro oscilla intorno alla metà, talvolta superandola, delle opinioni espresse. La tentazione di convocare altri referendum popolari, sull’esempio greco, può diventare un potente strumento democratico in grado di mobilitare, in un approccio unitario contro le politiche rovinose dell’eurozona, forze generalmente distinte o contrapposte nella geografia politica nazionale. I paesi fuori dall’euro hanno risposto molto meglio all’urto della crisi: dal Regno Unito alla Svezia e alla Polonia – paesi, dove l’economia e l’occupazione sono tornate a crescere. Mentre i paesi che erano candidati a entrare nell’euro hanno preso nota, a cominciare dalla Polonia, dei rischi della partecipazione all’eurozona, e hanno allontanato la prospettiva dell’adesione, se mai si verificherà. La triste vicenda che coinvolge il popolo greco ha mostrato che la vocazione europea non coincide con l’adesione all’euro. E’ vero piuttosto il contrario. L’euro rischia di distruggere il “sogno” europeo. Non possiamo indovinare il futuro. Ma non è difficile immaginare che, dopo la crisi greca e la sua mancata soluzione, nulla sarà più come prima. |
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