
(da Moneta e Credito 67, 265, 2014; originariamente l’Astrolabio, anno I, 10 maggio 1963, n. 4, pp. 12-14)
Subito prima delle elezioni, la Commissione nazionale per la programmazione economica ha concluso la prima fase dei suoi lavori. Il Presidente della Sezione esperti, prof. Pasquale Saraceno, ha presentato un suo rapporto; vari esperti hanno presentato note e osservazioni al Rapporto Saraceno ; una memoria è stata presentata dal prof. Giorgio Fuà e dallo scrivente.
Sui risultati finora raggiunti dalla Commissione circolano, nel nostro paese, versioni contrastanti o confuse. Si sa che ci sono stati dei dissensi, ma non si sa bene su quali questioni. Proprio per chiarire i termini dei problemi e dei dissensi è necessaria ed urgente la pubblicazione di tutti i documenti. La programmazione non è un a questione tecnica che interessi un ristretto gruppo di specialisti. Interessa tutti, e tutti debbono poter conoscere le questioni dibattute, così che possa contribuire al dibattito chi è in grado di farlo. Il segreto, o quel tanto che rimane oscuro, nonostante le numerosissime indiscrezioni, alimenta timori e non giova a nessuno; o meglio, giova a chi ha interesse a screditare gli sforzi che si sono compiuti e si stanno compiendo per avviare una politica di piano.
I dissensi ci sono stati. Non solo erano inevitabili, in una Commissione così eterogenea, formata da esperti con diverse ideologie e da rappresentanti d’interessi economici e sindacali addirittura contrapposti; ma era opportuno che venissero fuori, alla luce del sole. E’ bene dire che i dissensi sono molto meno gravi di quanto alcuni prevedessero. Nessuno ha proposto una pianificazione di tipo sovietico o di tipo cinese. Tutti, naturalmente, si sono riferiti alla realtà italiana; e nessuno ha mostrato di volerla modificare in modo rivoluzionario. Tutti, però, dalla destra alla sinistra, si sono dichiarati d’accordo sull’esigenza di modificare questa realtà; i dissensi si sono concentrati sui mezzi. Gli uni ritengono che bisogna solo assecondare le forze private, riformando gli strumenti pubblici (burocrazia, sistema previdenziale e sistema tributario), ma non gli argini giuridici e le strutture istituzionali entro cui le forze private si muovono; inoltre, il campo d’azione delle imprese pubbliche deve essere ridotto e non allargato. Gli altri, ritengono che le forze private vanno assecondate quando si muovono in modo conforme agli obiettivi; altrimenti, vanno modificati gli argini giuridici e le strutture istituzionali.
Quanto agli obiettivi, c’è stato un consenso quasi completo su quelli indicati, in termini molto generali, nella “Nota aggiuntiva” alla Relazione generale sulla situazione economica del paese, presentata dal ministro Ugo La Malfa nel maggio del 1962: mantenimento di un elevato saggio di sviluppo; eliminazione degli squilibri territoriali (specialmente: Nord-Sud) e settoriali (specialmente: agricoltura-industria); raggiungimento di livelli simili a quelli dei paesi più progrediti nel campo dei consumi pubblici o sociali (principalmente: scuola, ricerca scientifica, sanità, alloggi).
Il mantenimento di un elevato saggio di sviluppo condiziona il raggiungimento di tutti gli altri obiettivi; d’altra parte, solo se si perseguono efficacemente gli altri obiettivi è possibile mantenere elevato il saggio di sviluppo. Che ciò avvenga automaticamente, infatti, sarebbe pericoloso credere. Tutti gli economisti concordano nel considerare come uno dei principali fattori propulsivi – forse il fattore più importante nella straordinaria espansione dell’ultimo decennio – l’elevato saggio d’incremento delle esportazioni, dovuto, congiuntamente, alla progressiva attuazione del Mercato Comune Europeo ed alla favorevole congiuntura internazionale. Bisogna rafforzare le spinte interne allo sviluppo del mercato; e bisogna essere pronti nel caso che la congiuntura internazionale si indebolisca.
In pratica, solo mantenendo un elevato saggio di sviluppo è possibile eliminare progressivamente la fascia, tuttora cospicua, di redditi che sono vergognosamente bassi. Da uno studio compiuto per conto della Commissione risulta che un quinto delle famiglie agricole ha consumi pro capite inferiori alle 10.000 lire mensili e un quinto delle famiglie extra agricole consumi inferiori alle 18.000 lire.
Il secondo obiettivo è di ridurre progressivamente il divario tra redditi pro capite agricoli e quelli extra agricoli: oggi il rapporto è quasi di 1 a 2. Finora le famiglie di chi lavora la terra hanno partecipato in misura molto modesta al miglioramento economico; e in larga misura sono rimaste tagliate fuori dal progresso civile: una quota irrisoria degli iscritti agli istituti d’istruzione supe riore proviene da quelle famiglie.
L’obiettivo più ambizioso è quello della eliminazione degli squilibri territoriali, cioè, sostanzialmente, quello del pareggiamento dei redditi pro capite fra Sud e Nord (oggi il rapporto è di circa 1 a 2). Si tratta, niente meno, della unificazione economica dell’Italia. Molti ancora ritengono un’utopia arrivare a quel pareggiamento. Non è un’utopia: si può dimostrare che è possibile raggiungere un tale obiettivo in un periodo non enormemente lungo (quindici anni) e con uno sforzo perfettamente sopportabile per la collettività nazionale.
L’ultimo obiettivo – o meglio, l’ultimo gruppo di obiettivi – è quello del raggiungimento di livelli sodd isfacenti dei principali consumi “sociali”.
I diversi obiettivi o sono interdipendenti o, in parte, si sovrappongono: le carenze dei principa li consumi “sociali” costituiscono un importante elemento degli squilibr i territoriali, perché sono gravi sopra tutto nel Mezzogiorno; il problema degli squilibri territoriali si ricollega in larga misura a quello deg li squilibri settoriali: l’agricoltura è, in media, più arretrata e meno efficiente proprio nelle regioni meridionali.
L’obiettivo della grande eliminazione degli squilibri territoriali e quello dell’eliminazione degli s quilibri settoriali possono essere raggruppati in un unico obiettivo: quello della piena ed ef ficiente utilizzazione delle risorse e in particolare del lavoro. Oggi la disoccupazione è in declino, pur essendo ancora cospicua; ma il numero dei sottoccupati e di coloro che sono occupati in modo precario e inefficiente è grande, non solo nell’agricoltura, ma anche nel commercio, nella pubblica amministra zione e nella fascia dell’artigianato tradizionale che nei censimenti viene incluso nell'”industria”. A causa del deficiente sviluppo di certe aree e delle carenze nell’organizzazione della scuola e dell’istruzione professionale, si riscontrano, al tempo stesso, un’acuta scarsezza e una “sovrabbondanza” di mano d’opera, secondo i settori e secondo le zone, come provano, da un lato, le difficoltà di 26 Moneta e Credito reperimento di mano d’opera in certe industrie, e, dall’altro, non solo le statistiche dei disoccupati (circa un milione), ma anche quelle degli emigrati all’estero (da 100 a 200 mila l’anno, al netto dei rimpatri) e quelle delle massicce migrazioni interregionali. Uno sviluppo economico più equilibrato può condurre ad una graduale diminuzione del flusso, tuttora enorme, di coloro che emigrano all’estero; e ad una graduale diminuzione delle migrazioni interregionali, sopra tutto fra Sud e Nord (da 100 a 200 mila persone l’anno). La progressiva diminuzione dei due flussi migratori è un obiettivo desiderabile non solo sotto l’aspetto economico ma anche sotto l’aspetto umano.
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