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Le politiche di austerità  hanno peggiorato la competitività  dei paesi periferici dell’Eurozona. Se ci sarà  la ripresa, gli squilibri futuri delle bilance dei pagamenti potrebbero quindi essere più profondi di quelli alla base della crisi dei debiti sovrani.

di Francesco Saraceno – OFCE – SciencesPo Parigi e Luiss Scuola di Economia politica europea, Roma
Giovedì l’Eurostat ha ufficialmente decretato che la recessione è “tecnicamente” finita e all’inizio di questa settimana l’OCSE ha rivisto la sua previsione di crescita portandola al +0,4% nel 2013, contro il -0,4% della sua precedente stima. In questo contesto, l’ultima rilevazione dell’indice della competitività  globale (GCI) del World Economic Forum ha rinnovato il dibattito su un’Europa a due velocità; tutti i Paesi core migliorano la loro posizione in classifica (la Germania , in particolare, è salita dal numero 7 del 2006 al numero 4 di oggi), mentre tutti i paesi in crisi hanno visto un netto deterioramento della loro competitività. Le due notizie, prese insieme, sollevano interrogativi sulle politiche seguite durante la crisi  e, cosa più importante, gettano un’ombra sul futuro della zona euro .

I partigiani di austerità  hanno da tempo avanzato l’ argomento che la crisi è dovuta alla “dissolutezza fiscale” delle economie periferiche e che le riforme strutturale e l’austerità, per quanto dolorosa nel breve periodo, sono state necessarie per migliorare i fondamentali, in modo da sfruttare la ripresa successiva. I sacrifici a breve termine dell’austerità  e della recessione sono stati giustificati come il prezzo da pagare per ottenere il guadagno a lungo termine del miglioramento della competitività  e delle esportazioni, insieme con la convergenza verso il punto di riferimento rappresentato dai Paesi virtuosi e di successo come la Germania.

L’Indicatore di Competitività  Globale ci racconta una storia piuttosto diversa. La crisi e le politiche imposte ai paesi periferici hanno ampliato il divario tra nord e sud non solo in termini di crescita attuale, ma anche in termini di capacità  futura di competere nell’economia globale. Quando l’economia globale inizierà  la ripresa, i paesi periferici della zona euro saranno ancora meno attrezzati di quanto non fossero nel 2007 per competere sui mercati mondiali.

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Questa non dovrebbe davvero essere una sorpresa. Le riforme strutturali in genere tendono a distruggere posti di lavoro nei settori a bassa produttività  e li creano in quelli ad alta produttività. Ma perché si avveri il secondo effetto, i settori ad alta produttività  devono avere di fronte una forte domanda (Berlino tende a dimenticare che durante l’ attuazione della riforma Hartz in Germania l’economia globale era in forte crescita). Questo non sta accadendo ora, sicché le riforme strutturali, dove realizzate, contribuiscono solo a deprimere l’occupazione e la crescita. Per concludere, sembra che i sacrifici a breve termine dell’austerità  saranno seguiti da altre pene a più a lungo termine.

Ma c’è più di questo. La divergenza di competitività  pone seri dubbi sul futuro. Quasi tutti ormai sanno che le radici della crisi della zona euro possono essere ricondotte ai crescenti squilibri tra centro e periferia, che nel 2007 hanno provocato un enorme squilibrio di conto corrente e conto capitale; questi squilibri hanno sconvolto le economie periferiche una volta che gli errori della Grecia hanno innescato la crisi.

E’ quindi naturale oggi, una volta che l’economia dell’Eurozona sembra aver fermato la corsa verso la depressione  e si prepara a rimbalzo, chiedersi se questi squilibri verranno riassorbiti. Purtroppo la risposta è no. In primo luogo, mentre i deficit delle partite correnti dei paesi periferici sono oggi più bassi, soprattutto a causa del rallentamento della crescita e delle importazioni, i risparmi in eccesso dei paesi core sono praticamente invariati (in Germania l’avanzo delle partite correnti secondo le previsioni raggiungerà  un record di 7,2% del PIL nel 2013). Inoltre la divergenza di competitività  mostra che la zona euro sta uscendo dalla crisi senza aver affrontato gli squilibri che ne sono stati la principale causa. Questo significa che tutte le fragilità  che abbiamo avuto nel 2007 sono ancora lì forse ancora più forti. E se è così , è solo una questione di tempo prima che i paesi periferici non competitivi comincino a divergere di nuovo e la prossima crisi colpisca. Nessuno dei problemi strutturali di un’unione moneta imperfetta sono stati adeguatamente affrontati. L’ UEM non ha ancora alcuno degli strumenti di riequilibrio di un’unione monetaria, come una corretta unione bancaria o un sistema di trasferimenti tra i paesi, che aiuterebbero assorbire gli shock asimmetrici.

C’è davvero poco spazio per l’ottimismo.

fsaraceno.wordpress.com

(6 settembre 2013)

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