
Il libro “Il film della crisi” racconta l’attuale crisi economico-finanziaria con un linguaggio adatto a tutti, anche inesperti di economia e finanza. Il libro è leggibile, chiaro, essenziale, ed ha anche il pregio di essere breve.
“Il film della crisi” di Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini (Einaudi, 2012)
Parliamo di un libro uscito già da due anni per alcune buone ragioni.
La principale è che racconta l’attuale crisi economico-finanziaria con un linguaggio adatto a tutti, anche inesperti di economia e finanza. Il libro è leggibile, chiaro, essenziale, ed ha anche il pregio di essere breve. Troppo presto dimenticato, o forse nemmeno notato dalla gran parte del pubblico.
Ne riporteremo qualche nota, con la speranza di invogliare a leggerlo.
In ogni sistema complesso, come le società moderne, non c’è mai una sola causa che determina una situazione, né c’è una correlazione semplice tra cause ed effetti. Gli autori ci aiutano a capire qual è stato il percorso che ci ha portato alla situazione attuale, quali ne sono stati i principali responsabili e indicano alla fine possibili vie d’uscita. La loro aspirazione è di portare “un contributo critico” anche per “smascherare quella che non è una teoria ma un’ideologia, che ispira e giustifica tutto quello che oggi sta accadendo [“¦] che considera l’intervento pubblico nell’economia come una sciagura e che si fonda sulla leggenda dell’autoregolamentazione dei mercati”.
E’ essenziale capirlo per poter “riportare al centro della riflessione gli ideali politici e morali”, premessa indispensabile per poter nutrire “la speranza di progredire verso una società più prospera e più giusta”.
La storia narrata nel libro guarda l’ultimo secolo della storia del capitalismo, tracciando tre epoche.
La prima va dagli anni Venti del secolo scorso fino alla fine della seconda guerra mondiale. “Fu una grande Età dei Torbidi, che generò miseria e devastazione” (emblematica è la crisi scoppiata nel 1929, ma altri eventi catastrofici seguirono, e l’epilogo fu il conflitto mondiale).
Segue quella definita da Eric Hobsbawn l’Età dell’Oro, “un periodo durante il quale si coniugarono una forte crescita economica e un aumento dell’eguaglianza sociale”. Gli autori analizzano alcuni importanti fattori che hanno caratterizzato questo periodo, alla base del mutamento che ha interessato il capitalismo. In sintesi: la competizione tra l’Occidente e il blocco comunista, la progressiva crescita d’importanza dei Paesi produttori di petrolio (1973: prima crisi petrolifera) e, dagli anni Settanta, la sempre più accentuata competizione economica tra USA e gli altri Paesi industrializzati, soprattutto europei.
E’ in questo quadro che gli USA “mettono all’opera le tre mosse fondamentali della controffensiva capitalistica”: lo sganciamento del dollaro dalla parità fissa con l’oro, il forte rialzo dei tassi d’interesse ed infine la liberalizzazione del movimento dei capitali. Da questo punto in poi l’attenzione degli autori si sofferma soprattutto su questa deregulation, voluta da Reagan negli USA e dalla Thatcher in UK. Decisiva è la soppressione della differenza tra banche commerciali e banche d’affari.
Il punto è fondamentale perché la liberalizzazione dei capitali – che dalla metà circa degli anni Ottanta sarà favorita dalle nuove tecnologie informatiche, catalizzata da una finanza sempre più creativa e senza cuore né volto, incoraggiata da una spinta ideologica neoliberista sempre più invadente nella finanza e nei mercati – ha come risultato devastante un “rovesciamento dei rapporti di forza sia tra capitale e lavoro, sia tra capitalismo e democrazia, perché crea una condizione di fortissimo vantaggio per le grandi imprese private nei confronti degli Stati nazionali”.
Inizia così la “Età del Capitalismo Finanziario”, con l’arricchimento vertiginoso di pochissimi e l’impoverimento progressivo della stragrande maggioranza della popolazione.
Ma è possibile uscirne, purché si utilizzino questi strumenti: “restituzione alla politica del controllo sui movimenti internazionali dei capitali”, sostegno alle imprese non prigioniere dell’ideologia di massimizzazione del profitto nel breve periodo ma attente verso le relazioni sociali e sensibili nei confronti dell’ambiente e “un’azione politica di livello internazionale per contrastare la mutazione finanziaria del capitalismo”. E’ una strada non agevole, ma che è necessario percorrere se vogliamo “costruire una società con maggiore uguaglianza”.
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