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La tenacia di Paolo
di Elio Veltri

Paolo Sylos Labini ci ha lasciato. Grandi e intensi sono dolore e commozione perché negli ultimi anni
abbiamo condiviso una battaglia civile e politica fatta il più delle volte di amarezze e isolamento. Paolo era
solito dire: «Come economista sono discreto. Ma il merito maggiore che mi riconosco è la tenacia». E così
è stato fino all’ ultimo: tenace e intransigente nella difesa dei valori di laicità  (mai laicista) dello Stato,
dell’ etica pubblica, della scienza al servizio del Paese. Paolo è stato un grande patriota: amava la patria e la
voleva pulita, giusta e nobile. E’ stato indulgente nei confronti delle debolezze umane. Ma mai verso gli
opportunismi. L’ opportunismo e il conformismo li considerava la vera malattia del Paese, da combattere e
da non giustificare mai.
Paolo Sylos Labini, come spesso accade era molto più noto e considerato all’ estero che in Italia perché il
suo carattere, il suo stile di vita, il suo parlare senza sottintesi, non sempre erano apprezzati in un Paese
incline alle mediazioni, alle furbizie, ai piccoli e grandi opportunismi.
Con Paolo Sylos Labini se ne va l’ ultimo e autentico erede di quella grande tradizione culturale, civile e
politica che da Salvemini attraverso i fratelli Rosselli, Ernesto Rossi e Galante Garrone arriva ai giorni nostri.
Uomini che mai si sono compromessi né con il fascismo né con il comunismo. Che da sacerdoti laici hanno
combattuto a viso aperto e pagandone le conseguenze regimi, chiese e corporazioni. Che lasciano un vuoto
incolmabile.
Paolo aveva scritto il suo testamento morale e civile in un lungo articolo che l’ Unità  aveva pubblicato
dividendolo in due parti. «Non sono credente, ma ho grande rispetto per chi crede e si comporta di
conseguenza. Penso che tanti e tanti, anche i più cinici, siano tormentati da quando hanno l’ età  della
ragione dal problema della religione, ossia da due problemi: il senso della vita e la prospettiva della morte.
Per questa prospettiva ritengo che quando la signora vestita di nero si presenterà  al mio cospetto, la tratterò –
mi auguro di essere coerente – con cortesia e con «arguzia», come dice e come probabilmente ha fatto il mio
amico Adamo Smith e come ha certamente fatto il mio amico e maestro Gaetano Salvemini il quale quando
stava per «chiudere gli occhi alla luce» ebbe la visita di due ex studentesse, che si accostarono trepidanti e
commosse al maestro che stava per morire – e lui lo sapeva bene: «come siete carine, disse, se mi rimetto vi
sposo tutte e due».
E’ morto proprio così . Prima di perdere conoscenza aveva il suo sorriso ironico stampato sul viso sereno
anche se il dolore nei giorni precedenti si era fatto sentire ed era stato terribile. I miei sentimenti sono gli
stessi di Occhetto, Giulietto Chiesa, Novelli, Falomi e dai tanti compagni e amici che lo adoravano e che
hanno condiviso l’ esperienza di impegno civile e politico nel Cantiere. L’ ultimo lavoro di Paolo è un
libro che stava scrivendo per il suo editore Laterza. Aveva voluto che lo leggessi, come faceva sempre quando
scriveva di «politica» accettando con modestia consigli e suggerimenti. Mi auguro che l’ editore lo pubblichi
perché , ne sono certo, è utile al Paese.

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